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Il sole nero di Valerio Zurlini

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“Nessuno ha saputo identificare in questo racconto apparentemente impietoso una continuità tematica con i miei film precedenti e, guarda caso, lo avevo tenuto dentro di me quasi dieci anni”.
Queste le parole del regista, forse un po’ amareggiate, all’interno di un diario che scrive e fa pubblicare poco prima di morire; un ultimo grido al cinema italiano, secondo lui allora in crisi soprattutto a causa della mediocrità dei suoi imprenditori e della volontà di far tacere voci ribelli, tra cui, probabilmente, la sua.
Il regista si ispira a un fatto di cronaca accaduto intorno al 1970: prende spunto dal memoriale di un uomo realmente esistito, che aveva tenuto in casa, per tre mesi dopo la sua morte, la donna amata. Attorno a questo episodio quasi delirante, Zurlini costruisce una storia ricca, profonda, forse scomoda.

Trama

Luca Simoni è un giovane giornalista solo e depresso, e un cristiano in preda a una profonda crisi spirituale. Comincerà per lui un vero e proprio viaggio, con il corpo e con la mente: la disperata ricerca della verità sulla vicenda di Martino Mozzati, condannato a morte nel 1946 per aver seviziato e ucciso cinquantadue partigiani. Si era reso colpevole di furto, stupro, scempio di cadaveri. La sua pena era stata successivamente convertita in ergastolo e infine, dopo sette anni, venne amnistiato. Per tre mesi l’uomo nasconde in casa il cadavere, ormai completamente deteriorato, della donna che da sempre aveva amato, Francesca Benvenuto. Mozzati sosteneva che si fosse suicidata per porre fine alla sofferenza che il cancro le procurava, ma era in realtà accusato di omicidio con tanto di prove. Martino vuole raccontare a Luca la sua versione dei fatti e vuole che venga poi diffusa, in maniera fedele. Inizia così tra loro due un rapporto quasi morboso, una sorta di plagio reciproco…


Con Sole nero Zurlini vuole affrontare una tematica spirituale che lo aveva sempre affascinato e commosso: il perdono.
Luca ripercorre con Martino la sua storia e crede da subito alla sua innocenza, è completamente catturato da lui. Vede il gesto di Martino verso Francesca come un gesto eterno d’amore, l’amore di un uomo che non riesce a separarsi dalle sembianze terrene della sua donna. Riconosce in questo, quell’autentico atto che aveva disperatamente cercato fino ad allora, l'atto cristiano del perdono.
Lo sguardo di Luca verso Martino è uno sguardo deformato dal suo insaziabile bisogno di credere innocente un assassino, dal disperato bisogno di ritrovare una fede. Martino approfitta della debolezza di Luca per tentare un’ultima via di fuga e, forse, per provare a sentirsi innocente, e quest'ultimo approfitta del primo per cercare la via verso la salvezza.

Zurlini era probabilmente molto attratto da fatti di cronaca simili, lo testimonia anche uno scambio epistolare del 1961 con Renzo Renzi (le lettere originali di Zurlini sono conservate presso la Biblioteca Renzo Renzi della Cineteca di Bologna). Queste parlano di un progetto che il regista voleva condividere con il collega sul caso Murri, a proposito del quale Renzi scrisse un libro dal titolo “Il processo Murri”. Forse Zurlini voleva trarre un film da quest’opera.
Chi ha letto il copione del Sole nero, scrive Zurlini sul suo diario, gli ha riconosciuto molte qualità, che però non hanno impedito un giudizio di disagio, di insofferenza, di antipatia forse. Tutti gli avevano sconsigliato di realizzarlo, e fondamentalmente nessuno era stato disposto a finanziarlo.
Un altro elemento importante per cui il film non è stato realizzato, è che Zurlini non aveva trovato nessun attore italiano di grande nome disposto a rischiare il più effimero granello di popolarità per dare vita alla sgradevole e abbietta autenticità di Martino.

Il regista con questo film ha toccato con mano la paura di qualsiasi sfida o innovazione che per molti anni aveva opacizzato e spento la spregiudicatezza del cinema italiano e lo aveva fatto scivolare in una sonnolenza molto pericolosa e simile a uno stato di coma irreversibile.
“Per i distributori un’opera nuova, sgomenta sempre chiunque è abituato a percorrere sentieri già battuti senza rischio almeno da altri” (Zurlini, Gli anni delle immagini perdute).
(A cura di Chiara Iacobelli).