Intervista a Sergio Donati
Sergio Donati è uno dei più prolifici sceneggiatori italiani; ha esordito con Sergio Leone al quale il suo nome è rimasto legato, ma ha lavorato con molti altri registi italiani (solo per fare qualche nome, Steno, Lupo, Bellocchio, Zampa, Montaldo, A. Infascelli) ed anche stranieri (Guillermin, Irvin); tante le sceneggiature di successo, da C'era una volta il West a Il mostro, da Il giocattolo a Giù la testa, alcune delle quali presenti anche nel Fondo CREEC
Può darci un'idea di quello che era scrivere una sceneggiatura trenta o quaranta anni fa? Che cosa è cambiato rispetto ad oggi? Qual era il fermento che nasceva allora intorno al progetto di un film?
In quegli anni il cinema italiano era una vera industria di livello mondiale. Produttori come Ponti, De Laurentiis, Grimaldi mettevano assieme progetti con cast internazionali capaci perfino di arrivare all’Oscar come Il dottor Zivago. Esisteva un vivacissimo cinema “di genere”, che con prodotti di qualità a basso costo esportava in tutto il mondo. La decadenza è cominciata già alla fine degli anni ’70. I produttori migliori sono emigrati all’estero, il cinema di genere è sparito, e l’ex grande industria del nostro cinema è diventata sempre più un modesto artigianato, con produttorini condizionati dalla caccia ai finanziamenti di stato e dalla necessità di realizzare roba adatta alla “prima serata” delle nostre televisioni.
Nel Fondo sono presenti alcuni suoi lavori che danno prova di come lei sappia muoversi agevolmente tra generi e stili differenti. Qual è il segreto di questo suo eclettismo?
Ah, saperlo… No, scherzi a parte: io direi che la quasi totalità del mio lavoro si può genericamente classificare con quella che gli americani chiamano “action comedy”. Ovvero, leonianamente : azione, sentimenti forti, ma sempre un fondo di ironia.
Quali possono essere a suo avviso i motivi di interesse nei confronti del Fondo?
Se quelle letture possono dare a dei giovani una modesta guida verso il modo “giusto” di scrivere per il cinema, e anche e soprattutto (vista la qualità media dell’attuale italica produzione) per la televisione, avranno raggiunto lo scopo della loro presenza.
Per quanto si offra al piacere della lettura, la sceneggiatura è comunque uno strumento forse troppo tecnico per vivere di vita propria come genere letterario... o forse no. Lei che ne pensa a riguardo?
Verissimo: la sceneggiatura, a cominciare dalle migliori, è uno strumento squisitamente tecnico, realizzata per le riprese. Molto diversa, invece, l’importanza e la qualità di un trattamento. Per Il giocattolo e Il mostro io ho scritto dei trattamenti di una cinquantina di pagine, in tutti e due i casi con il protagonista che parla in prima persona. E sono di una qualità letteraria così interessante che prima o poi cederò alla voglia di pubblicarli come romanzi brevi.
Che valore ha una sceneggiatura che rimane sulla carta? È soltanto qualcosa di abortito, o è anche la testimonianza, per tutti noi, di un'occasione perduta?
Io ho avuto la fortuna di avere successo subito, con tre romanzi pubblicati a 22 anni nei Gialli Mondadori e immediatamente appetiti dal cinema. Da quelli è nato anche il rapporto con Leone ed esordire nella sceneggiatura con un regista come lui, mi ha portato ad avere una carriera di ininterrotte offerte di lavoro. Tant’è vero che in quarant’anni e più di cinema ho scritto solo due soggetti di mia iniziativa (appunto Il giocattolo e Il mostro). Ciò non toglie che molte storie, spesso arrivate anche alla fase di sceneggiatura (ma sempre regolarmente pagate da un produttore), siano poi rimaste sulla carta per le ragioni più diverse, da quelle politiche a quelle finanziarie. E quasi sempre si trattava di prodotti di grande qualità e di grande impegno . Dunque sì, spesso belle occasioni perdute.
Di cosa si sta occupando attualmente? Quali sono i suoi progetti futuri?
Oggigiorno la mia esperienza è, per mia scelta, assai limitata. Ho fatto una croce definitiva sulla fiction televisiva ormai di infima qualità, e lavoro solo con persone che stimo e su progetti che mi appassionano. Con Alex Infascelli, per il quale ho scritto Almost Blue, ho appena preparato la sceneggiatura di un remake de Il giocattolo. Per Marco Amenta ho scritto La siciliana ribelle che sta avendo successo un po’ in tutto il mondo e presto uscirà addirittura nel circuito USA. E sempre per Amenta ho scritto Il banchiere dei poveri, la storia del Nobel Muhammad Yunus che presto sarà girato in Bangladesh.