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Michelangelo Antonioni: cronaca di una rivoluzione cinematografica

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Al suo primo lungometraggio, Cronaca di un amore (1950), Antonioni dà prova di essere già un autore, portando sullo schermo un nuovo modo di fare cinema. La critica, nel complesso, gli riconosce fin da subito la capacità di raccontare per immagini un'Italia diversa da quella mostrata dalle opere neorealiste, tanto che il film viene premiato con due Nastri d'Argento; il regista ne riceve uno "Speciale, per i Valori Umani e Artistici" e il compositore Giovanni Fusco lo vince per il "Miglior commento musicale".
In un'articolata recensione, Giulio Cesare Castello ricorda gli ersordi documentaristici del regista ferrarese, dando rilievo a L'Amorosa menzogna (1949), un'inchiesta sul mondo dei fotoromanzi e dei fumetti: "Antonioni lo contemplava con un interesse tutto razionale, attraverso rivelazioni che contenevano implicito un giudizio e su cui si proiettava, spesso, l'ombra di un sorriso amaro".
Il regista avrebbe voluto trasformarlo nel suo primo film di finzione, con "al centro il curioso destino di quei divi 'sui generis', emblema di un'epoca ostinatamente attaccata al culto di false mitologie".
Impossibile non pensare a Lo sceicco bianco (1952) di Federico Fellini (leggi l'articolo pubblicato su CinefiliaRitrovata.it), anche lui alla sua prima prova d'autore e non chiedersi come sarebbe stato il film se lo avesse realizzato Antonioni. I cassetti dei registi, si sa, sono pieni di progetti non realizzati che continuano ad alimentare in modo sottorreneo le opere compiute.

      

Dalle ceneri di L'amorosa menzogna, nasce Cronaca di una amore, in cui – dichiarò lo stesso regista in un'intervista su Bianco e Nero dieci anni più tardi - "«analizzavo la condizione di aridità spirituale e anche un certo tipo di freddezza morale di alcune persone dell’alta borghesia milanese. Proprio perché mi sembrava che in quest'assenza di interessi al di fuori di loro, in questo essere tutti rivolti verso se stessi, senza un preciso contrappunto morale, senza una molla che facesse scattare in loro ancora il senso della validità di certi valori, in questo vuoto interiore vi fosse materia sufficientemente importante da prendere in esame»".
Non solo la storia è nuova, ma lo è soprattutto il modo di raccontarla. Carlo di Carlo, amico e collaboratore di Antonioni scrive: "In contrasto aperto con le tematiche e i modi rappresentativi neorealisti, il regista presenta un triangolo sentimentale di ambientazione borghese, in cui i personaggi sono già 'vinti', senza coscienza e senza senso di responsabilità, aggrappati come larve al loro vuoto interiore, incapaci di guardare a ciò che accade intorno".
Per rendere visivamente questo mondo ripiegato su se stesso, Antonioni fa muovere i protagonisti all'interno di lunghi piani sequenza, preferendo un montaggio interno al quadro. In questo spazio gli attori vengono "indagati" senza pietà, seguiti dalla macchina da presa che li osserva interagire con un paesaggio, quello milanase, altrettanto spietato e alienante quanto lo è la loro relazione.
I disegni dell'artista Renzo Vespignani nella guida pubblicitaria originale illustrano perfettamente lo spirito del film; il segno nero, pesante dell'inchiostro, cinico a tratti quasi crudele, chiude i personaggi e i paessaggi entro reticolati spaziali di un'eleganza brutale.
La recensione di Castello si chiude con l'elogio al regista per aver scelto Lucia Bosé come protagonista: "Ad Antonioni va riconosciuto il merito di aver 'inventato' cinematograficamente parlando, Lucia Bosé. [...] Essa suggerisce attraverso la sua levigata freddezza, l'immagine di un certo tipo di donna del nostro tempo".

 

Articolo a cura di Michela Zegna, responsabile archivi cartacei della Cineteca di Bologna
                        

Nella gallery seguente

- C. G. Castello, Un delitto psicologico, 'L'Elefante', s.d., Fondo Calendoli.
- Disegni di Renzo Vespignani per la guida pubblicitaria del film, 1950, Fondo Calendoli

           

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