Nirvana

di Gabriele Salvatores (Italia/Francia/Gran Bretagna, 1997)
(da 14 anni)

Trama

In un grande agglomerato urbano di un futuro neanche troppo lontano (2005), Jimi, programmatore di videogiochi per una multinazionale giapponese, scopre che un virus ha infettato “Nirvana”, la sua ultima creazione. Solo, il personaggio principale, ha scoperto che la sua vita è soltanto una copia della realtà: ha preso coscienza di essere parte di un gioco deciso da altri da cui non potrà mai uscire e chiede a Jimi di cancellarlo prima che il gioco sia immesso sul mercato.
Jimi decide di aiutarlo ma ha solo tre giorni e dovrà sconvolgere la sua vita intraprendendo un viaggio pericoloso. Jimi ha anche un altro scopo: seguire le tracce di Lisa, la ragazza che da un anno l’ha lasciato, e ridare un senso a un’esistenza che ha perso significato.
Così, braccato dagli agenti della multinazionale, con l’aiuto di Joystick e Naima, due hackers informatici, attraverserà le periferie più remote della città per raggiungere la banca dati della Okusama Star e cancellare “Nirvana”, salvando Solo ma anche se stesso.

Commento

Negli ex-capannoni dell’Alfa Romeo di Milano, Salvatores ha costruito per Nirvana una città del futuro che condensa nelle sue periferie il mondo intero e suggerisce riflessioni estremamente attuali: in un unico “agglomerato” multietnico e caotico convivono suggestioni visive di passato e futuro, di civiltà e culture diverse. Man mano che ci si addentra in questo universo tentacolare, le periferie, come Marrakesh o Bombay-city, si rivelano in realtà dei ghetti, sempre più disagiate, emarginate e isolate dal centro.
È la voce narrante di Jimi a guidare lo spettatore verso la vera natura del suo viaggio che è, prima di tutto, un’avventura interiore: dimostrare a se stesso di poter scegliere la libertà, anche a costo della vita stessa. Cercando di salvare Solo, Jimi dovrà affrontare i propri fantasmi, scoprirà grazie al suo personaggio che anche la sua vita ha smesso di avere un senso. Seguendolo in quest’avventura capiamo che il futuro fantascientifico e la realtà virtuale sono solo maschere attraverso cui osservare il nostro presente e noi stessi.