Presentazione
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313 film in otto giorni. Oltre mille accreditati da tutte le parti del mondo. Questi i numeri dell’edizione 2010, la ventiquattresima, del nostro appuntamento più antico e più amato, che ogni volta migliora la sua offerta e moltiplica il suo pubblico. Perché? Perché Il Cinema Ritrovato è un’occasione unica di incontri e di scoperte. In quale altro festival, infatti, potrebbero convivere la Palermo d’inizio secolo, una Parigi proustiana, inondata dalla Senna, nel 1910, il film che ci ha fatto conoscere De Oliveira (girato, per scampare la censura di Salazar, come se fosse un documentario etnografico!), il primo film interpretato da Spencer Tracy, un raro Bergman dei primi anni settanta, i trailer di Godard, maestro dell’annuncio, i colori di Roma di Fellini e quelli del Gattopardo, i film Lumière, le invenzioni di Stanley Donen, John Ford, Albert Capellani?
Perché è un festival dove si realizza un rarissimo equilibrio tra le esigenze, il lavoro, il tempo degli specialisti che vengono da tutto il mondo per vedere - come mai prima - gli oggetti delle loro indagini, e i sogni e i bisogni degli appassionati, che cercano la sera in Piazza conferme dei loro amori e di giorno, nelle tre sale, spinti dalla curiosità scoprono folgoranti bellezze. Perché, pur mostrando (spesso rivelando) film del passato, è un festival che parla continuamente del nostro presente. Perché ci ricorda, in questa nostra epoca di infingimenti e di immagini fasulle, quanto possa essere esigente, quindi senza tempo, la voce degli artisti. Le autentiche emozioni che generano in noi - anche a distanza di decenni - gli sguardi dei Maestri, quelli riconosciuti e quelli che scopriremo. Perché i film escono dagli archivi e diventano parti della nostra conoscenza, mai meccanicamente, ma sempre riproposti con una strategia della programmazione che ci consente di associarli ad altri titoli, di scoprire relazioni segrete o sorprendenti opposizioni. Perché, senza cedere a nessun integralismo, il Cinema Ritrovato ci racconta la passione e il lavoro di tante persone nel mondo che inseguono, per anni, la versione originale di un’opera: su tutti il caso di Metropolis, che ha atteso ottant’anni per ritrovare l’integrità immaginata da Fritz Lang. Perché è un festival del passato, molto amato dai cineasti del nostro presente, a cominciare da Martin Scorsese, che non solo ha promosso i restauri di molti suoi film, ma che ci concede, con generosità, alcune rarissime copie della sua leggendaria collezione. Perché ogni edizione non è solo il risultato delle ricerche e del talento di Peter von Bagh e dello staff della Cineteca, ma è anche, sempre, il frutto del lavoro (spesso ignorato) di una vasta comunità internazionale che, per tutto l’anno, lavora assieme per sottrarre all’oblio parti della nostra memoria e della nostra identità.
Quando ci troviamo a scegliere un’immagine, quella del manifesto, che rappresenterà tutti i film programmati, inizia per noi una bella battaglia che dura a lungo, tra fotogrammi di lucente bellezza (quest’anno ne ritroverete molti nel catalogo che abbiamo stampato). Per la ventiquattresima edizione abbiamo scelto un’immagine celeberrima del Gattopardo, con Claudia Cardinale e Alain Delon. E’ un’immagine che racchiude molti dei temi del festival. Un film che abbiamo visto tante volte e che però vedremo a Bologna, dopo la proiezione di Cannes, in una versione sorprendentemente nuova. Un restauro che mostra in maniera evidente quanto le nuove tecnologie, applicate eticamente, possano restituire vita e piacere della visione ai film del passato. Un film che ha quasi cinquant’anni, ma sembra essere stato realizzato in questi giorni, tanto ci ricorda le malattie del nostro Paese, quelle del passato e quelle attuali. Non abbiamo scelto una fotografia a colori, bensì una foto in bianco e nero che fu colorata, per l’uscita del film ed esposta nelle sale. Ci sembrava un buon modo per celebrare il vero protagonista del festival, lo sguardo degli spettatori che escono dalle sale portandosi via, ognuno, un nuovo film, magari distante da quello sognato dal suo autore. L’unica proprietà privata legittima e difendibile, anzi, da difendere con i denti contro tutti i processi di omologazione. Perché questo ci pare l’augurio migliore che possiamo formulare al programma di quest’anno, che sia una sorgente cui abbeverare il nostro sguardo, per rigenerarlo e trovare nuova luce, come scriveva Rohmer a Jacques Davila, nel ringraziarlo per il suo film La campagne de Cicéron (che mostriamo quest’anno restaurato), “… lei ci porta la poesia (quella vera, non quella dei videoclip).”
Giuseppe Bertolucci e Gian Luca Farinelli
“Cento anni fa”, sezione annuale del festival, apre la porta a un viaggio nel tempo che può essere considerato il più bello, perché ci porta a definire la natura della nostra esistenza. Un festival cinematografico è sempre una macchina del tempo, e questo è doppiamente vero per Il Cinema Ritrovato. Ciascun frammento di film contribuisce a comporre il caleidoscopio del secolo passato, soprattutto se proiettato ora, all’inizio del secolo nuovo e in circostanze in cui nessun momento cinematografico e pochi film nella loro interezza rivestono lo stesso significato. Un altro termine cruciale va di pari passo con il viaggio nel tempo: dialogo. La storia dialoga con ciascuno di noi in ogni momento, attraverso un periodo storico, un genere, la retrospettiva di un regista o di un attore o la questione del colore: tutto ciò ci offre essenziali chiavi di comprensione.
Il Cinema Ritrovato è una rete di corrispondenze nel senso migliore dell’espressione. Ciascuno dei nostri film ha una storia. Il programma è sempre molto più di una semplice successione di film. Dietro le quinte della rassegna non c’è solo lo staff bolognese, ma tanti singoli partecipanti e il pubblico straordinariamente competente che ormai ci accompagna. Un tempo era tutto molto semplice. C’erano dei film difficili da vedere (che comportavano anni di attesa e distanze incredibili da percorrere), ma quando finalmente accadeva potevamo vederli nelle giuste “circostanze produttive”: in un cinema vero, in compagnia di un grande pubblico, in 35 mm. Da allora sono comparse molte nuove forme materiali, ma la situazione di base non cambia: come vedere la pura verità dei film in circostanze in cui i “vecchi” film vengono trattati come se venissero da un altro pianeta? Se vogliamo dimostrare il contrario non è per una qualsivoglia ossessione ultraconservatrice, ma per la necessità di difendere una cultura cinematografica che è stata abbastanza unica da definire un secolo e da costituirne una delle conquiste culturali e delle espressioni di umanità più profonde.
Tenendo conto del fatto che l’anno cinematografico 2009-10 è stato pieno di discussioni particolarmente puerili su 3-D e questioni correlate, sono lieto di constatare la schiacciante – ed essenziale – presenza nel nostro programma di tecnologie e relativi dibattiti. Non mi riferisco solo a temi che ci sono cari come il colore e lo schermo panoramico, ma anche a un fatto più sorprendente: entrare nel mondo dei film muti equivale spesso a compiere un viaggio nel futuro. I film in programma nella Sala Officinema/Mastroianni del Cinema Lumière promettono immagini e innovazioni più che mai ricche di fantasia e di modernità, soprattutto se paragonate ai film che siamo destinati a vedere negli altri 357 giorni dell’anno nelle multisale che ci circondano e che oscurano le nostre menti.
Non dimentichiamo, infine, i tanti incontri personali che ci attendono: saranno con noi Donen, Etaix, Frémaux, Fofi, Mario Monicelli, Alberto Grimaldi, Jean Douchet, Kent Jones, Michel Ciment, Alain Bergala, Tatti Sanguineti, André S. Labarthe, Kevin Brownlow, Serge Toubiana e Joseph McBride, che dopo aver presentato nella scorsa edizione del festival le opere di Capra parlerà ora di John Ford, protagonista di un altro suo splendido libro. La febbre del cinema ci unirà per otto lunghi giorni, che dovrebbero bastare a farci intravedere una cultura
cinematografica che oggi continua a vivere come nei suoi momenti migliori. Riveriamo tutti questi film – con il rispetto che dovrebbe essere riservato alle persone – nonostante il loro numero, così incredibile da meritare di essere menzionato: 313.
Un cordiale benvenuto!
Peter von Bagh
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