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Metropolis: il cinema come arte dello spazio

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Se c'è un regista che incarna la definizione data da Eric Rohmer di cinema come 'arte dello spazio' – scrive Paolo Bertetto nella monografia dedicata a Metropolis – questo è proprio Fritz Lang.

Le spettacolari scenografie di Eric Kettelhut, rappresentano un modello perfettamente riuscito di sincretismo architettonico. Le maggiori correnti artistiche del primo ventennio del Novecento - il Futurismo, il Cubismo, il funzionalismo geometrico del Bauhaus, fino alla raffinata ambientazione degli interni in stile art déco - si fondono in uno stile unico. L'osmosi tra cinema e le altre forme espressive raggiunge livelli altissimi.

Nel 1928, l'anno successivo all'uscita di Metropolis nelle sale italiane, la Casa d'Arte Bragaglia, riconosciuta come una delle migliori gallerie a livello internazionale, ospita una mostra dedicata alla scenografia cinematografica. Le opere esposte partecipano al primo concorso italiano in questo ambito, indetto dalla rivista 'cinematografo', diretta da Alessandro Blasetti.
Nelle opere presentate (di cui diamo un assaggio in questa gallery, con materiale originale proveniente dal Fondo Blasetti della Cineteca), l'influenza degli scenari del film di Lang e delle correnti artistiche d'avanguardia si manifesta nella concezione dei soggetti e nell'organizzazione degli spazi.

"Nell'imminenza della sua prima visione in Italia, riteniamo doveroso trattare, all'indomani del debutto a Berlino, di Metropolis, prima autentica incarnazione cinematografica del movimento espressionista germanico. […]
Metropolis
è il simbolo, primo e immediato, della società divisa in macchine e supplementi umani di esse, ed uomini i quali di quelle macchine e di quei supplementi umani che ne conducono e ne guidano il ritmo produttore, sfruttano, nell'ozio, l'incessante lavoro. […]
Le obiezioni che sono state mosse dai critici di finanza a questo Metropolis, che sicuramente è costato immensi sforzi finanziari, noi le riteniamo del tutto infondate. Si pensi che nuovi modelli di macchine, di veicoli, di ambienti, sono occorsi, una intiera città fantastica è stata costruita; si pensi che il concorso delle masse – masse imponenti – è stato richiesto per due terzi del lavoro; si pensi che lo squisito egoismo artistico di Fritz Lang non ha consentito l'utilizzo del negativo nemmen per un fotogramma che non rispondesse a quegli effetti di luce, di inquadratura delle figure, di scorcio, che la concezione del creatore aveva imposto al realizzatore; si pensi infine che questo film sembra sia costato – traduciamo il lingua italiana – oltre venticinque milioni di lire".
Alessandro Blasetti, Metropolis (1926) di Fritz Lang, in 'Lo Schermo', a. II, n. 4, 29 gennaio 1927

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