BARBARY COAST
(Stati Uniti/1935) di Howard Hawks (91')
T. it.: La costa dei barbari; Sog., Scen.: Charles MacArthur, Ben Hecht, Edward Chorodov (non accr.); F.: Ray June; Mo.: Edward Curtis; Scgf.: Richard Day; Co.: Omar Kiam; Mu.: Alfred Newman; Su: Frank Maher; Int.: Miriam Hopkins (Mary "Swan" Rutledge), Edward G. Robinson (Louis Camalis), Joel McCrea (James Carmichael), Walter Brennan (Old Atrocity), Brian Donlevy (Knuckles Jacoby), Frank Craven (Col. Marcus Aurelius Cobb), Clyde Cook (Oakie), Harry Carey (Jed Slocum), Matt McHugh (Bronco), Donald Meek (Sawbuck McTavish), Rollo Lloyd (Wigham), J. M. Kerrigan (giudice Harper), Roger Gray (Sandy Ferguson), Otto Hoffman (Peebles), Donald Meek (McTavish), Fred Vogeding (capitano), David Niven (l'uomo buttato fuori dal saloon, non accred.); Prod.: Samuel Goldwyn per Goldwyn Productions; Pri. pro.: 27 settembre 1935
35mm. D.: 91'. Bn. Versione inglese / English version
Da: BFI - National Archive per concessione di Hollywood Classics
L'America è nata nelle strade, raccontava in quegli anni Herbert Asbury: il cronista scrittore aveva dato alle stampe nel 1928 Gangs of New York, cui poi molto liberamente si sarebbe ispirato Scorsese, e nel 1933 Barbary Coast. An Informal Story of San Francisco Underworld, cui altrettanto liberamente s'ispirò Hawks (il cui retropensiero, quando mise mano a Barbary Coast, era però più ambizioso, addirittura un adattamento di L'Or di Blaise Cendrars). Ma se l'oro muove il mondo e l'underworld, le strade della San Francisco 1850 sono fatte di fango, e nel fango affonda fino al ginocchio un giornalista impegnato a perorare la causa della legge e della libertà. Vita dura per i giornalisti ("siamo tutti metà ubriaconi metà idealisti", parola di Hecht e McArthur che firmano la sceneggiatura) nella San Francisco 1850: vi spadroneggia infatti un azzimato boss dal sorriso mellifluo che non ammette libertà di stampa, non sopporta i giudici, governa corrotto i luoghi dell'intrattenimento e si fa giustizia da sé tramite scherani crudeli o pavidi. Però s'innamora, pover'uomo, e non è ricambiato, perché l'algida lady from New York che fa da croupier nel suo locale Belladonna (l'allusione è più all'oppio che al sesso) gli preferisce un cercatore d'oro poeta e decisamente bello. Insomma tutto si complica, lo sporco mito di fondazione s'intreccia al melodramma, e al nostro boss viene persino concessa una via d'uscita nel segno della nobiltà. Nel sistema dei personaggi e degli attori qualcosa scricchiola (Miriam Hopkins non è donna di canone hawksiano, JoelMcCrea non è ancora il grande attore che faranno di lui Sturges e Stevens - per contrappeso però il boss di Edward G.Robinson e lo sdentato Old Atrocity di Walter Brennan sono semplicemente perfetti), ma la capacità di concreta evocazione di Hawks è ai suoi vertici: per raccontare una microstoria del capitalismo bastano una roulette, una rotativa, e la nebbia che tutto avvolge e confonde. "Vividamente sinistra/Vividly sinister" definì Graham Greene questa barbarica San Francisco della corsa all'oro "le voci basse, lo sciaguattare del fango intorno agli stivali dei vigilantes, il loro passo ritmico sono terrificanti perché sono stati immaginati con esattezza, con l'orecchio non meno che con l'occhio/the low voices, the slosh of the mud round their boots, the rythmic stride are terryfing because they have been exactly imagined, with the ear as well as the eye".
(Paola Cristalli)
Il Cinema Ritrovato 2011
I cinefili preferiscono Howard Hawks: muti e primi sonori
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