INDEBITO
(Ita/2013) di Andrea Segre (87')
Introduce Vinicio Capossela
Regia: Andrea Segre. Soggetto e sceneggiatura: Vinicio Capossela, Andrea Segre. Fotografia: Luca Bigazzi. Montaggio: Sara Zavarise. Ricerca musicale e archivi: Sofia Labropoulou, Sotiris Bekas, Dimitris Papadopoulos. Interpreti: Vinicio Capossela, Theodora Athanasiou, Bufos Puppet Theatre, Keti Dali, Pantelis Hatzikiriakos, Dimitris Kontogiannis, Vasilis Korakakis. Produzione: Francesco Bonsembiante per Jolefilm e La Cupa in collaborazione con Rai Cinema. Durata: 85'
Sono abituato a scrivere le cose che vedo, salvarle così alla memoria, in una maniera anche 'visiva', che fornisca la visione, però che vada completata con la nostra immaginazione, che è in definitiva, il miglior scenografo del mondo. Da molto tempo ho a cuore questa musica, oltre che per la sua bellezza e la sua forza, per la carica eversiva interiore che accende. Mantiene vive le parti anticonvenzionali di noi stessi, la fierezza, l'avversione al compromesso. Sbatte contro alla verità senza averne paura. Non è che dà coraggio, è che toglie la paura del dolore, ce lo fa amico, compagno, come Francesco diceva della sorella morte corporale. Nel corso di quest'anno si è cominciato molto a parlare di Grecia, in termini di debito, di crisi, un'informazione e un'immagine molto parziale, usata spesso come spauracchio in questo periodo in cui l'unico lavoro serio sulla cosiddetta 'crescita' è quello fatto sulla paura della gente. La frase "non siamo mica la Grecia", dovrebbe essere sostituita dalla più kennediana, "siamo tutti greci", perché in Grecia è in questo momento più scoperto ed evidente il meccanismo economico, sociale, politico in via di sperimentazione in tutti gli altri paesi.
Mi è venuto quindi il desiderio di informarmi un poco più da vicino, ho fatto qualche viaggio con il registratore e il taccuino, il mio 'tefteri', il quadernetto sul quale il negoziante di alimentari si segna la spesa dei suoi clienti, i debiti che contano di saldare a fine mese. E su quello ho segnato diversi debiti e crediti che ho personalmente riguardo a questa musica e a questo paese. I debiti sono sempre gli insegnamenti umani, i crediti quello che si cerca di restituire. Per restituire il credito ho cercato, per quello che è nelle mie possibilità, di destare curiosità sull'informazione e di fare conoscere maggiormente questa musica, il rebetiko, dalla parola turca 'rebet', ribelle. Il debito economico forse parla dei conti delle banche centrali, ma la musica parla dei conti delle persone, e questa musica soprattutto. Mi sembra importante che siano le persone a parlare più che i loro rappresentanti. Ora perché queste persone non rimanessero soltanto voci nel mio quadernetto del 'tefteri', abbiamo pensato di farne un film che le documentasse, che le facesse conoscere insieme a questa musica che li accompagna, come una colonna sonora lunga ormai una novantina d'anni.
Perciò ho chiesto ad Andrea Segre, che in queste cose ha già dato prova di grande maestria, di dare una forma a queste storie, di dare un volto alle persone e alla musica. Ne sono uscite riflessioni sull'identità, nel momento della crisi del consumo, che hanno un carattere esemplare. Parlano in qualche modo di tutti. Ho cercato di infilarmi tra queste storie come nella vita, da viandante, cercando tra il frastuono contemporaneo qualche frequenza dell'antichità, qualche voce di mangas, qualche spettro, qualche indicazione, accompagnato dal minuscolo strumento che i rebetes nascondevano in prigione, il baglamas, usato come una specie di forcina da rabdomante, confidando sullo sguardo esperto di Luca Bigazzi, di Andrea, del lungo microfono del fonico e della piccola compagnia di ventura con la quale ci siamo avventurati per un paio di settimane tra le strade di Atene, di Salonicco, delle isole di Creta e di Ikaria. Tutto questo per cercare di pareggiare la voce credito a quella debito nel libretto del 'tefteri', che una volta aperto diventa di chi ci guarda dentro. A quel punto si diventa tutti responsabili, o come diceva De André, si è tutti coinvolti. Perché, per usare le parole di Mistakidis, uno dei nostri 'intervistati', la vera scelta politica oggi non è suonare rebetiko, ma ascoltarlo.
(Vinicio Capossela)
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