BAND OF ANGELS
(La banda degli angeli, USA/1957) R.: Raoul Walsh. D.: 125'. V. inglese
Dopo essersi adoperato per pagine come al solito brillanti, e più del solito tendenziose, a smontare il mito di Via col vento, Jacques Lourcelles invita chi voglia "afferrare la poesia specifica del Sud in questo periodo della sua storia, la potenza romanzesca dei conflitti che vi ebbero luogo", a rivolgersi al "superbo" Band of Angels, girato da Walsh diciotto anni dopo. Si può essere in appassionato disaccordo con la valutazione lourcelliana di Via col vento, ma non c'è dubbio che Band of Angels reclami da sé un ironico confronto: fin da quei titoli di testa che esibiscono il primo piano d'un grande albero e una casa coloniale sullo sfondo, tutto però addomesticato in una trama pointilliste che forse s'ispira ai ricami al piccolo punto. La poesia del Sud, dunque, con le sue piantagioni e le sue mansions, è ormai solo ciò che alberga nella fantasia d'una signorina beneducata e avvezza all'ago e al filo? Un temperamento orgoglioso e destinato a svariate traversie, una Scarlett O'Hara con una goccia di sangue nero nelle vene? In un'epoca che già sente addosso il declino dello studio system, Walsh prende il film che di quel sistema è massimo exemplum e massima eccezione, lo svuota, lo riempie d'altro. Lo riempie di tutto ciò che il film del 1939 aveva rimosso: quella goccia di sangue nero nelle vene della pallida Yvonne De Carlo diventa qui torrente (narrativo) in piena, affiora nella tentata fuga di due schiavi, scorre lungo le 'voci di libertà' che dal Nord rimbalzano fin nei discorsi d'una servetta querula, si allarga al piano d'insieme degli schiavi che accolgono a Pointe de Loup il loro 'buon padrone', scena magnifica, da musical etnografico-allucinatorio, monta nell'odio del figlio-liberto Sydney Poitier che con il (moderato) linguaggio politico del 1957 si ribella alla venefica 'gentilezza' dei bianchi; e infine quel torrente tutto travolge nella scena madre in cui Clark Gable, "gli occhi come fessure aperte sull'abisso", rievoca con crudezza ancora impressionante il suo passato di mercante di schiavi, e "la tessitura narrativa si disfa e il presente, gonfiato dall'irruzione del passato, si slabbra" (Toni D'Angela, nel suo recente Raoul Walsh o dell'avventura singolare). Insomma la negritude è dappertutto, nell'epica disillusa in cui "freedom is a white word", come dovunque è l'idea di sconfitta, "perché nessuno può sfuggire a quello che è": né chi resterà negro anche nel Sud liberato dagli yankee, né chi porterà sempre con sé il negriero che fu. Eppure quanta walshiana dolcezza in quell'abbraccio ai bordi d'un fiume placido, la barca che aspetta, e l'ultima avventura concessa, fuori tempo massimo, al suo vecchio eroe/divo/alter ego... Ribollente di giovinezza e di insolenza, quello di Via col vento era un finale di sfida; questo di Band of Angels è un finale di consolazione (e sia detto con il massimo rispetto, s'intende, per questa meravigliosa parola).
(Paola Cristalli)
In a discourse over a few pages, brilliant as ever and even more tendentious, Jacques Lourcelles strips Gone with the Wind of its legendary status, and invites those interested in the "specific poetry of the South during that time in history and the romantic conflicts that took place" to watch the "superb" Band of Angels, directed by Raoul Walsh eighteen years later. One may fervently disagree with Lourcelles' evaluation of Gone with the Wind, but there is no doubt that Band of Angels sparks an immediate and ironic comparison - starting with the opening credits with a close-up on a large tree and colonial house in the background, all made more quaint by a pointillist pattern seemingly inspired by needle point. So the poetry of the South, with its plantations and its mansions, is what's left hanging in the fantasy of a well-educated girl who likes to do needlework? A proud character destined to overcome a number of misfortunes, a Scarlett O'Hara type with a drop of black blood in her veins? In an era when the studio system was already facing its decline, Walsh takes on a movie that is exemplary of that system as it is exceptional, dismantles its meaning and fills it with something else. That something else being everything the 1939 movie had taken out: that drop of black blood in pale Yvonne De Carlo's veins turns into a (narrative) torrent about to flood, surfaces in the two slaves' attempt to escape, flows alongside the "voices of freedom" from the North to the mouth of a chatty little black servant, pours into the long shot of the slaves ready to greet their 'good master' at Pointe de Loup - a wonderful scene, like in a hallucinatory-ethnographic musical -, tinges the hatred of freedman-son Sydney Poitier, who speaks the (moderate) political language of 1957 calling for revolt against the poisonous "kindness" of white people; and finally it floods the central scene in which Clark Gable, "his eyes like slits onto the abyss" remembers his years as a slave merchant, while "the narrative fabric unravels, and the present, inflated by eruptions from the past, bursts" (Toni D'Angela, in his recent Raoul Walsh o dell'avventura singolare). Negritude is everywhere, in the disillusioned epic in which "freedom is a white word", as is the idea of defeat, "because no one can escape who he is": neither the Southern negroes freed by the Yankees nor the former slave owners. But there is such Walshian sweetness in that embrace by the placid river, the boat waiting, the last adventure, with time run out, offered to his old hero/star/alter ego... Gone with the Wind's ending was ebullient defy; Band of Angels' is pure consolation (and I'm saying it with the maximum reverence for this marvelous word).
(Paola Cristalli)
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