PETTERSSON & BENDEL

(Petterson e socio, Svezia/1933) R.: Per-Axel Branner. D.: 108'. V. svedese

Una conseguenza fatale della Depressione fu il diffondersi dell'antisemitismo. Ci vol­le tempo prima che quel tema occupasse una posizione rilevante nel cinema tede­sco, e dunque fu un modesto film svedese ad avere il discutibile onore di essere il 'primo': la sua caricatura degli ebrei, uno stereotipo ben consolidato nel mondo dello spettacolo europeo, assunse infatti dimen­sioni nuove e potenzialmente malevole. Le scene iniziali a bordo di una nave pun­tano già in questa direzione. Bendel sem­bra una specie di topo, e il suo modo di toccare i soldi offre subito ulteriori conno­tazioni. Al suo amico Pettersson piacciono le belle donne, a lui il denaro. Seguono ulteriori stereotipi: Bendel tratta ironica­mente gli svedesi perché odiano il denaro; per lui la bellezza dei quadri non conta, importa solo il prezzo. Per-Axel Branner era un buon professio­nista e la sua descrizione della Svezia ai tempi della Depressione è convincente. All'epoca la caricatura degli ebrei era solo un ulteriore dettaglio della vita quotidiana. Perciò Petterson & Bendel, che oggi as­sume ben altre sfumature tenendo conto di più vaste e gravi minacce, per i gior­nali svedesi dell'epoca - moderatamente divertiti dalle avventure di due scrocconi scalognati in tempo di crisi - era una cosa da nulla. Ci fu però un'eccezione degna di nota: il migliore critico di allora, Bengt Idestam-Almqvist (che si celava sotto lo pseudonimo di Robin Hood), manifestò una "profonda insoddisfazione": "Bendel è la sola figura artificiosa del film. Ebreo cacciato a forza in un'ambientazione svedese, è una polveriera ambulante, un mascalzone. Trattandosi di uno dei prota­gonisti, è adeguatamente dipinto come un ebreo sporco, irsuto, repellente, briccone, vale a dire un figuro controverso, proprio come la stampa, ispirandosi all'ostracismo messo in atto da Hitler, ama presentare gli israeliti. Semmy Friedmann esaspera i tratti ebraici del suo personaggio, esage­rando inutilmente la natura stereotipata di Bendel. A mio parere, la sua interpretazio­ne è uno dei punti deboli del film".


One fatal outgrowth of the Depression era was the rise of antisemitism. Strategically it took time before that theme played a large role in German cinema, and so one modest Swedish film had the questionable honor of being the 'first' - meaning that its caricature of Jews, a well-established cli­ché within European entertainment, grew into new, potentially evil dimensions. The opening scenes on a boat already point in this direction. Bendel seems like a rat, and the way he touches money leads immediately to other clues. His pal Pet­terson is interested in beautiful women, Bendel is interested in money. More and more negative clichés follow: Bendel has an ironic view of the Swedes because they loath money. The beauty of paintings means nothing to him, only the price. Per-Axel Branner was a good professional, and his view of Depression-era Sweden is convincing. Things happen and, typical of the times, Jewish caricature was just another normal detail of everyday life. So
Petterson & Bendel, now an afterthought in view of larger, more important threats, was no more than a trifle for the Swedish newspapers, which were mildly amused by the story of two bad-luck bums wandering around in bad times. There was one no­table exception: the finest critic of the day, Bengt Idestam-Almqvist (writing under the pen name Robin Hood), sensed a "deep dissatisfaction": "Bendel is the only the­atrical figure in the film. A Jew thrust into a Swedish setting, he is a powder keg, a black villain. As one of the protagonists, it is appropriate that he is depicted as a dirty, frizzy-haired, creepy, rascally Jew, i.e. as a controversial foil exactly like the press, taking their cue from Hitler's black­balling, liked to present the Israelites. Semmy Friedmann greatly exaggerates the character's Jewishness, unnecessarily overdramatizing Bendel as a stereotype. In my opinion, his portrayal is one of the film's weaknesses".

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