KAAGAZ KE PHOOL
(Fiori di carta/Paper Flowers, India/1959)
R.: Guru Dutt. D.: 144'. V. hindi
T. it.: Fiori di carta. T. int.: Paper Flowers. Scen.: Abrar Alvi. F.: V.K. Murthy. M.: Y.G. Chawhan. Scgf.: M.R. Achrekar. Mus.: S.D. Burman. Canzoni: Kaifi Azmi. Int: Guru Dutt (Suresh Sinha), Waheeda Rehman (Shanti), Baby Naaz (Pramila Sinha), Johnny Walker (Rocky), Mahesh Kaul (Rai Bahadur Verma), Veena (Veena Varma/Veena Sinha), Minoo Mumtaz (veterinario), Niloufer, Sulochana Devi, Sheila Vaz. Prod.: Guru Dutt per Guru Dutt Films
35mm. D.: 144'. Bn. Versione hindi / Hindi version
Da: National Archive of India
Capolavoro oscuro e malinconico, Kaagaz ke Phool esplora la finzione del mondo del cinema. Film quasi autobiografico, narra le vicende di un regista descrivendo il fallimento, l'oblio e la morte quali esiti inevitabili del suo percorso. Quasi una premonizione, dato che Kaagaz ke Phool fu un fiasco dal punto di vista commerciale e Guru Dutt smise di fare film, precipitando in uno stato di depressione che nel 1964 lo portò al suicidio. La trama ruota attorno a Suresh Sinha, regista cinematografico di successo in piena crisi coniugale. L'uomo conduce alla fama la giovane Shanti, ma i pettegolezzi sulla loro relazione turbano la figlia di Suresh: per il bene di quest'ultima, Shanti abbandona il cinema. La fortuna di Suresh inizia a declinare e l'uomo comincia a bere, perdendo lentamente il controllo della propria vita.
Il regno delle ombre
Creatore di immagini indimenticabili, Guru Dutt è oggi considerato uno dei maestri del cinema mondiale.
Molti storici e critici vedono le canzoni del film, sine qua non del cinema indiano, come una deviazione dal linguaggio realistico o come una concessione al botteghino. Ma alcuni dei più grandi registi indiani hanno saputo elevare le canzoni ad altissimi livelli di lirismo e di intensità drammatica. Guru Dutt fu sicuramente tra coloro che meglio praticarono questa forma. Nella sua breve ma abbagliante carriera si mosse con disinvoltura tra la lingua parlata del dialogo e le parole misurate dei versi delle canzoni, coniugando armoniosamente le due componenti grazie a un uso magistrale del montaggio.
Kaagaz Ke Phool fornisce molteplici esempi del suo talento. Nei primi dieci minuti del film, immagini di grande intensità scorrono fluide in un flashback. Preferendo alla narrazione lineare un abile lavoro di montaggio, Guru Dutt crea una sequenza di straordinaria bellezza lirica. I vasti spazi del teatro di posa - con le sue luci e i suoi angoli bui, i soffitti alti, le passerelle, le gru e i dolly, tutti immersi in trame complesse di luci e ombre - sono valorizzati al massimo dal formato Cinemascope del film.
Kaagaz Ke Phool fu il primo film indiano in Cinemascope. Guru Dutt, regista visionario, capì quello che questo formato poteva offrire al suo film sull'industria del cinema e su un artista che si sforza di conservare la propria creatività, e si avvalse del formato per esprimere la solitudine di un uomo circondato da vasti spazi insensibili al suo dolore. Era il 1959, un anno prima che i maestri del cinema europeo esplorassero le potenzialità artistiche (contrapposte a quelle meramente spettacolari) del Cinemascope con film quali L'avventura (1960), La dolce vita (1960) e 8 ½ (1962).
Guru Dutt usava l'illuminazione per cogliere il bagliore di uno sguardo e il guizzo di un muscolo facciale, facendoli parlare con un'eloquenza e una grazia rare. Con il suo operatore V.K. Murthy creò immagini malinconiche e introverse dominate da ricchi e soffici neri ed evocò atmosfere di cupo presagio. Il mondo in cui viene trascinato lo spettatore è onirico, con le sue leggi di luci e ombre.
Arun Khopkar
A dark, brooding masterpiece, Kaagaz ke Phool explores the make-believe world of the movies. Quasi-autobiographical in nature, it portrays the life and times of a filmmaker, depicting failure, oblivion and death as the inevitable outcomes of his journey. The theme proved to be somewhat prescient, since Kaagaz ke Phool was a commercial failure, and Guru Dutt never put his name to a film again, hurtling into a state of depression which led ultimately to his tragic suicide in 1964. The plot concerns Suresh Sinha, a famous film director whose marriage is on the rocks. When he grooms a young woman named Shanti to fame and stardom, the gossip about their love affair troubles Suresh's daughter. For her sake, Shanti withdraws from films. Suresh's fortunes begin to decline and he takes to drink, slowly losing his grip on himself.
The Realm of Shadows
Guru Dutt, who died in 1964 at the age of thirty-nine, is today recognised as one of the masters of the world cinema, and as a creator of haunting images on the big screen.
Many historians and critics see the film song, the sine qua non of the Indian cinema, as a deviation from a realistic idiom or as a concession to the box-office. But some of the greatest Indian directors have been able to lift the song to great lyrical heights and dramatic intensity. Guru Dutt was certainly a leading exponent of the form. Throughout his short but dazzling career, he moved with great ease from the spoken word of the dia- logue to the measured words of the lyric, merging them seamlessly with the help of skilful editing.
Kaagaz Ke Phool provides several examples of his mastery. In the first ten minutes of the film, intensely powerful images move smoothly into a flashback. Preferring powerful montage to a straightforward narrative, Guru Dutt creates a daring sequence, stunning in its beauty and lyricism. The vast spaces of a film studio - with its lights, its dark corners, its high ceilings, catwalks, cranes and trolleys, all engulfed in complex patterns of light and shadow - are stretched to their expressive limits by the Cinemascope format of the film.
Kaagaz Ke Phool was the first Indian film made in Cinemascope. Guru Dutt, however, was a seer of cinema who realized the potential of Cinemascope for his self-reflexive film about the film industry and the struggle of an artist to retain his own creativity. He used the format to express the loneliness of a man surrounded by vast spaces mute to his suffering. This was in 1959, a year before the masters of European cinema explored the artistic (as against the merely spectacular) potential of Cinemascope with films such as L'avventura (1960), La dolce vita (1960) and 8 ½ (1962).
Guru Dutt used lighting to pick up the glint in an eye and the flicker of a facial muscle, making them speak with rare eloquence and grace. He and his cameraman V. K. Murthy created brooding, introverted images with rich velvety blacks, casting a mood of foreboding and gloom. The world they take you into is oneiric, with its own laws of light and shade.
Arun Khopkar
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INDIAN NEWS REVIEW NO 767
(India/1963) D.: 11'. V. inglese
Il Cinema Ritrovato
Anni Cinquanta, l’età dell’oro. Classici Indiani da salvare
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Info: 051224605