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Anni Cinquanta, l’età dell’oro. Classici Indiani da salvare

Programmazione

Sono figlio degli anni Settanta, ma ho vissuto e respirato il cinema degli anni Cinquanta. Nelle sere d’estate mio nonno ci portava quelle magnifiche pellicole e ce le mostrava con il suo proiettore. La magica sequenza onirica di Awara di Raj Kapoor, l’intensità poetica dei film di Guru Dutt, la verità universale incarnata dalle storie di Bimal Roy: per me il cinema era vivo e palpitante, e Kaagaz ke Phool mi invogliò a fare il regista.
Negli anni Cinquanta l’India era un paese di recente costituzione, da poco affrancatosi dal colonialismo e pieno di speranze e di aspirazioni. Con l’industrializzazione e la Partizione, l’emigrazione divenne uno stile di vita. Le città promettevano benessere e nuove opportunità ma anche, nei bassifondi, una realtà fatta di sfruttamento, crimine e precarie condizioni di vita. Quegli anni videro la nascita di una nuova generazione di registi che voltò le spalle alla mitologia e ai drammi storici. I loro film tendevano fortemente verso la critica sociale. Gli artisti di sinistra erano attratti dal cinema, che vedevano come un potente mezzo per convincere e fare proseliti. Quando il neorealismo italiano riuscì ad approdare in India grazie a Ladri di biciclette di Vittorio De Sica i registi indiani scoprirono che le lotte dell’uomo erano un’istanza universale. Bimal Roy (1909-1966), Raj Kapoor (1924-1988), Guru Dutt (1925-1964), Mehboob Khan (1907-1964), S.S. Vasan (1903-1969) e Ritwik Ghatak (1925-1976) erano alcuni dei registi ‘ribelli’ che fecero degli anni Cinquanta il capitolo più glorioso della storia del cinema indiano, la sua vera Età dell’Oro.
Per me è stato difficile scegliere solo otto film tra tutti quelli prodotti dalle tre industrie cinematografiche dell’epoca: Bombay, Madras e Calcutta. Chandralekha (1948), Awara (1951), Do Bigha Zamin (1953), Ajantrik (1957), Mother India (1957), Pyaasa (1957), Madhumati (1958) e Kaagaz ke Phool (1959): ciascuno di questi film rappresenta un’innovazione dal punto di vista del contenuto, della forma o dello stile. In sintonia con la tradizione dell’epoca, ciascun lungometraggio sarà preceduto da un cinegiornale che fornirà un contesto storico ai film proposti.
Queste opere rappresentano un patrimonio cinematografico ricco e vario che rischia oggi di scomparire. In India furono girati 1700 film muti, dei quali sono sopravvissuti solo cinque o sei titoli completi. Tragicamente abbiamo perduto il nostro primo film sonoro, Alam Ara (1931). Nel 1950 l’India aveva già perso il settanta-ottanta per cento dei suoi film: era la conseguenza della diffusa e presuntuosa convinzione che la pellicola fosse eterna. Oggi sappiamo che anche questi otto classici corrono il concreto rischio di scomparire se non si interviene tempestivamente con progetti di conservazione e restauro. La proiezione di questi film non serve solo a confermare l’unicità di un patrimonio cinematografico, ma a ricordare che esso va salvato al più presto.

(Shivendra Singh Dungarpur)


Programma a cura di Shivendra Singh Dungarpur, Film Heritage Foundation
In collaborazione con National Film Archive of India e Films Division, Government of India

Documenti

Presentazione e schede dei film (dal catalogo del Festival)

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