Mercoledì 27 giugno 201214.30
Cinema Lumière - Sala Officinema/Mastroianni

Lo specchio scuro. Il denaro

BÉBÉ JUGE (Francia/1912) R.: Louis Feuillade. D.: 4'. Did. olandesi
LA FIÈVRE DE L'OR (Francia/1912) R.: René Leprince, Ferdinand Zecca. D.: 50'. Did. francesi
EXTRACTION DE MINERAL DE FER DANS L'OURAL (Francia/1912) D.: 4'. Did. olandesi
JOACHIM GOËTHAL ET LE SECRET DE L'ACIER (Francia-Olanda/1912) R.: Alfred Machin. D.: 17'. Did. olandesi

Accompagnamento al piano di Neil Brand

Nelle precedenti edizioni di Cento anni fa il denaro compariva nella sua forma arcaica, persino fiabesca: veniva mendi­cato, rubato, deposto da galline magiche, guadagnato onestamente, generosamente regalato. Nel 1912 colpisce invece che molti film trattino del denaro nella sua forma moderna. Il denaro moderno di­strugge antichi legami e ideali: corrompe. La Fièvre de l'or - secondo il catalogo Pathé, un "Dramma della vita moderna in tre parti e trenta scene; alla fine della seconda parte Le Triomphe du Veau d'Or, danzato da Mlle Napierkowska e dal corpo di ballo dell'Olympia di Parigi" - ci tocca da vicino, perché negli ultimi anni abbia­mo visto più volte i banchieri togliere soldi di tasca alla gente con la promessa di alti rendimenti, e le vittime fare investimenti a rischio per speculare sul guadagno. Arriva il crollo, ma, a differenza che in passato, oggi banchieri e azionisti non ga­rantiscono più con il capitale personale, hanno minimizzato i propri rischi. "Nelle fasi di crisi del mercato viene di­strutta una gran parte non solo dei pro­dotti finiti, ma addirittura delle forze pro­duttive esistenti. Con quale mezzo il capitalismo supera la crisi? Da un lato, con la distruzione forzata di una grande quan­tità di forze produttive; dall'altro, con la conquista di nuovi mercati e con un più radicale sfruttamento di quelli vecchi. Con che mezzo, dunque? Preparando crisi più vaste e più devastanti, e riducendo i mezzi per prevenirle. Il capitalismo non può esistere senza rivoluzionare incessantemente gli strumenti di produzione e quindi i rapporti di produzione, e quindi ancora i rapporti sociali nel loro insieme. L'incessante trasformazione della produ­zione, l'ininterrotto sovvertimento di tutte le condizioni sociali, l'insicurezza e il mo­vimento perpetui caratterizzano l'epoca capitalistica rispetto a ogni altra". Il testo prosegue trattando dello sfruttamento dei mercati mondiali da parte del capitalismo e della distruzione delle industrie nazio­nali. "Il capitalismo impone a tutte le nazioni, se non vogliono andare in rovina, di adottare il modo di produzione capita­listico; le obbliga a introdurre a casa loro la cosiddetta civiltà, cioè a diventare ca­pitalistiche". Si stenta a credere che queste righe sia­no state scritte nel 1848, da Karl Marx e Friedrich Engels. Rispetto al testo originale, è stata cambiata una sola parola, so­stituendo ovunque borghesia con capita­lismo. Ho rubato entrambe le idee (quella di commentare la crisi contemporanea citando il primo capitolo del Manifesto del partito comunista, e quella di alterar­ne la formulazione) all'autore britannico John Lancaster (Marx at 193, in "London Review of Books", 5 aprile 2012, p. 7). Il testo della citazione è stato leggermente abbreviato, ma senza segnalare le omis­sioni, per non guastare la sorpresa.

 

In earlier editions of A Hundred Years Ago, money played an archaic, even fai­rytale role: it was cadged, stolen, laid by golden geese, honestly earned and generously given away. In 1912, on the other hand, we are struck by the number of films dealing with money in its mod­ern form. This modern money destroys old relationships and ideals: it corrupts. La Fièvre de l'or - which is, according to the Pathé catalogue, a "drama of modern life in three parts and 30 scenes: at the end of the second part Mlle Napierkowska and the corps de ballet of the Olympia de Paris dance 'The Triumph of the Golden Calf' " - is particularly relevant now, for in recent years we have repeatedly witnessed bankers extracting money from people's pockets with the promise of a high rate of return, and the victims making these risky investments in the expectation of profit. The crash comes, but unlike earlier times, bankers and shareholders no longer have to put their own wealth on the line - they have minimised their own risk. "Commercial crises put the existence of the entire capitalist society on its trial, each time more threateningly. In these crises, a great part not only of the existing products, but also of the previously created produc­tive forces, are periodically destroyed. And how does capitalism get over these crises? On the one hand, by enforced destruction of a mass of productive forces; on the other, by the conquest of new markets, and by the more thorough exploitation of the old ones. That is to say, by paving the way for more ex­tensive and more destructive crises, and by diminishing the means whereby crises are prevented. Capitalism cannot exist without constantly revolutionizing the instruments Joachim Goëthal et le secret de l'acier of production, and thereby the relations of production, and with them the whole relations of society. Constant revolution­izing of production, uninterrupted distur­bance of all social conditions, everlasting uncertainty and agitation distinguish the capitalist epoch from all earlier ones." And the text goes on to explain capitalism's ex­ploitation of the world market and destruc­tion of national industries. For "capitalism compels all nations, on pain of extinction, to adopt the capitalist mode of production; it compels them to introduce what it calls civilization into their midst, i.e., to become capitalists themselves." It hardly seems possible, but this was actually written in 1848, by Karl Marx and Friedrich Engels. The text is slightly abridged and the omissions are left un­marked so as not to spoil the surprise. And just one word in the original text has been changed: "bourgeoisie" has been replaced throughout by "capitalism". I stole both ideas - that of quoting from the first chapter of the Communist Manifesto, and the altered wording - from British writ­er John Lanchester (Marx at 193, "London Review of Books", 5 April 2012, p. 7).

 

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