Libri in rassegna

“Scrivere era fare film”: tra gli autori della nouvelle vague Jean-Luc Godard è stato senza dubbio il più sperimentale e critico: la riflessione teorica sul cinema, fin dai ruggenti anni di militanza sulle pagine dei Cahiers, ha fatto sempre da controcampo alla sua opera di regista. Si è servito di volta in volta della recensione, della lettera, della divagazione, della conferenza, dell'intervista, della polemica o del saggio per chiarire a se stesso e agli altri il senso della sua direzione e della sua ricerca cinematografica. “Godard critico – scrive Adriano Aprà nell'introduzione a Il cinema è il cinema (Aldo Garzanti Editore, 1971) è un cineasta in fieri, così come Godard-cineasta è un critico in fieri; scrivere film sulle pagine dei Cahiers o filmare critiche su pellicola Eastman è il segno di un medesimo atteggiamento di fronte al cinema: le parole proliferano in immagini e suoni”. Sfogliare le pagine dei due monumentali tomi di Jean-Luc Godard par Jean-Luc Godard (usciti rispettivamente nel 1985 e nel 1998 per le edizioni dei Cahiers du cinéma) in cui Alain Bergala ha aggiornato e integrato l'originale edizione di scritti godardiani pubblicati da Belfond nel 1968, è infatti una vertiginosa esperienza per gli occhi e per la mente: vi sono raccolti tutti gli scritti critici del maestro apparsi sui Cahiers e su Arts negli anni Cinquanta, prima di Fino all'ultimo respiro, una ricca antologia di interviste, sceneggiature e documenti di lavoro inediti fondamentali per comprendere la genesi di capolavori come Il disprezzo, Prénom Carmen o Je vous salue Marie, un originale “foto-romanzo biografico”, fino alle lettere, le prefazioni, le dichiarazioni pubbliche e alcuni inediti che rivelano il lato più umano del regista, ma anche dell'intellettuale che volentieri si fa “avvocato tenace delle cause predilette”. Testi in cui, come sottolinea Orazio Leogrande nell'introduzione di Due o tre cose che so di me (Minimum Fax, 2007) che traduce in italiano una selezione di questo monumentale corpus, “capita spesso di ascoltare, come nei suoi film, parole che agiscono diversamente dal solito, che non spiegano ma cortocircuitano, che non leggono il mondo ma lo vedono”.

“Noi siamo i primi cineasti a sapere che esiste Griffith”, rivendicava orgogliosamente il giovane Godard cinéphile cresciuto alla corte di Langlois e dei tesori della Cinémathèque. La riflessione sulla storia (del cinema e del suo tempo) ha da sempre accompagnato l'attività di Godard critico e cineasta. Ma è soprattutto dagli anni Ottanta che “la continua oscillazione fra storia e storie, fra la finzione del raccontare e la documentazione di fatti reali, e anche fra la storia personale e quella collettiva” (Alberto Farassino, Jean-Luc Godard/2, Il Castoro, 1996) trovano la loro illustrazione e teorizzazione completa nelle Histoires du cinéma. Un grande progetto che ha all'origine una serie di lezioni tenute dal regista a Montreal nel 1978 e poi pubblicate in Introduzione alla vera storia del cinema (Editori riuniti, 1982): una serie di “viaggi” in cui in modo del tutto libero e asistematico Godard presenta e commenta un suo film insieme ad alcuni classici del passato, da La passione di Giovanna d'Arco a Germania anno zero, intessendo relazioni secondo criteri che non hanno nulla di geografico, cronologico o produttivo, ma sono squisitamente estetici. Lezioni che erano state concepite come “sopralluoghi e sceneggiatura per un film” che vedrà la luce solo dieci anni più tardi con la realizzazione del primo episodio delle Histoire(s) di cinéma, poi confluite nei quattro volumi pubblicati da Gallimard (2001): epoche, episodi, personaggi, autori, fotogrammi e citazioni si sovrappongono in “una memoria, libera e personale, che procede per accostamenti estemporanei di parole e concetti, per analogie e rimandi emotivi, echi e rime visive” (Alberto Farassino, cit.). E ancora intorno alla storia e “all'archelogia del film e alla memoria del secolo” è incentrato il volume-conversazione Cinema (Berg, 2005) fra Godard e Youssuef Ishaghpour: dopo Chaplin e Pol Pot, Monroe, Hitler, Stalin e Mae West, Mao e i Fratelli Marx, ci dice Godard, il cinema e la storia sono strettamente interconnessi. Con arguzia e mai sopito gusto per il paradosso ci parla di teoria e tecnica del cinema, di ritmo di come il cinema "arte che pensa" possa "far risorgere il passato" perché “solo il cinema può narrare la sua storia”. (1 - prosegue)

alessandro cavazza


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