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I 90 anni del Bauhaus: omaggio a Moholy-Nagy

23 ottobre 2009

Una serata di immagini e musica per celebrare i 90 anni dalla nascita del Bauhaus: lunedì 26 ottobre, alle ore 20 al Cinema Lumière (ingresso gratuito), un programma, promosso dalla Cineteca di Bologna e dal Teatro San Materno di Ascona (Svizzera) e curato da Lorenzo Buccella, tutto incentrato sui lavori cinematografici del maestro della fotografia László Moholy-Nagy, nato in Ungheria nel 1895 e morto nel 1946 negli Stati Uniti, dove aveva trasferito la sua attività di artista e docente dalla metà degli anni Trenta.
Una serie di brevi documentari (16 in tutto, realizzati in un decennio, tra i primi anni Venti e primi anni Trenta), non sonorizzati e che verranno accompagnati per l’occasione da Marco Dalpane e Pierangelo Galantino.

Presentazione a cura di Lorenzo Buccella:
"Non è soltanto una scuola-modello d’arte e architettura, ma anche una delle più innovative officine del "fare" che ha scardinato l’intera cultura europea, tra eredità avanguardistiche e impulsi verso nuove estetiche funzionali. A 90 anni dalla nascita (1919), la lezione interdisciplinare del Bauhaus non ha perso luce come testimonia il cinema sperimentale di alcuni suoi maestri, a partire dalla figura poliedrica di László Moholy-Nagy.
Per la sua sfaccettata attività di pittore, scultore, fotografo, regista e designer, László Moholy-Nagy (Bacs-Borsod, Ungheria 1895 – Chicago 1946) rappresenta l’esempio più emblematico della figura di artista-insegnante che ha trovato cittadinanza sotto il tetto del Bauhaus in piena temperie costruttivista. Periodo in cui viene formulata una definizione sociale del ruolo dell'artista nel nuovo rapporto che si crea all’interno di un universo segnato dall'egemonia degli apparati tecnico-industriali. Nella consapevolezza che lo storico passaggio dalle attività artigianali a quelle industriali non possa non avere ricadute a vasto raggio anche nei modi di fare e concepire l'arte, sulla scia di quanto sta accadendo in campo architettonico, Moholy-Nagy contamina saperi, discipline e mezzi espressivi, interessandosi anche di design editoriale, grafica e rappresentazioni teatrali.
La pubblicazione del suo Pittura, fotografia, film diventa ben presto una sorta di bibbia di riferimento. Per il mondo della fotografia, ma non solo, visto che dal 1923 al 1928 le lezioni di Moholy-Nagy a Weimar si trasformano in un laboratorio sperimentale per scavalcare gli steccati del tradizionale sistema delle arti tramandato dal secolo precedente. L’integrazione sempre più stretta fra la pratica artistica e il mondo della tecnica modifica il rapporto con la realtà esterna: non più in chiave da "mistero romantico" legato alla libera soggettività, ma in termini di proposta "progettuale" di risposte estetiche che rimangano funzionalmente inscritte nella moderna società industriale.
È in questo contesto che Moholy-Nagy s’impegna in uno scavo approfondito nei meccanismi tecnologici e grammaticali che animano i nuovi media ottici come la fotografia e il cinema. L’interesse nei confronti di una cinetica delle forme e di una luce impiegata come mezzo espressivo primario trova piena realizzazione nei lavori cinematografici realizzati da Moholy-Nagy a cavallo tra gli anni Venti e gli anni Trenta. Proprio quelli che vengono ora mostrati in questa retrospettiva-evento, organizzata dal Teatro San Materno di Ascona (Svizzera) e dalla Cineteca di Bologna.
Scortate dall’accompagnamento musicale dal vivo realizzato appositamente per l’occasione dal duo Marco Dalpane / Pierangelo Galantino, le proiezioni ci guidano così nella perlustrazione architettonica e sociale di un luogo-folla come il vecchio porto di Marsiglia (Alter Hafen in Marseille, 1929), indagato con uno sguardo stradale che alterna l’alto e il basso, la terra e l’acqua, facendo della verticalità materiale l’elemento-cardine su cui instradare la lettura della società. La stessa dicotomia che ritroviamo anche nel suo Berliner Stilleben (1931-32): alle prospettive a volo d’angelo dalle altezze dei palazzi più moderni della capitale tedesca fanno da contraltare le strisciate continue lungo le pavimentazioni trafficate del basso, i binari e le strade su cui si mette in moto il fermento di una modernità che coinvolge ogni singolo individuo che si trova a passare di lì. Un’attrazione per lo sguardo verso solitudini di massa che non decelera nemmeno di fronte alla vita movimentata da grande città di un campo nomadi (Grossstadt Zigeuner, 1932), dove le gare di esibizioni dei cavalli, i giochi dei bambini, i balli e le risse più adulte all’ombra dei carrozzoni, tagliano e cuciono gli spazi geometrici in cui si trova a ribollire ogni forma di commercio tra le attività umane e lo sfondo ambientale del contorno. Che poi l’architettura faccia da pesce-pilota ad ogni riflessione sulla volontà di introdurre fra l'uomo e l'ambiente nuovi rapporti funzionali lo testimonia anche il diario di bordo dell’Architekturkongress, viaggio in nave del 1933 a cui parteciparono anche personalità del calibro di Le Corbusier, van Eesteren, Giedion e Leger. Un’arte, quindi, come quella propugnata da Moholy-Nagy, che deve produrre nuovi rapporti e non limitarsi a riprodurre quelli già esistenti. Non è solo lo statuto geometrico o realistico delle immagini ad accendere l’interesse di Moholy-Nagy, ma la capacità di quei rettangoli visivi di farsi rivelatori del mondo. Qualcosa insomma che dispieghi ai nostri occhi ciò che non eravamo riusciti a congelare senza l’intervento del mezzo tecnologico: le regolarità nascoste nel disordine delle superfici, le affinità fra micro e macrocosmo, gli svariati disegni che i diversi materiali e le diverse consistenze degli oggetti portano con sé. O, più genericamente, lo spiazzamento dovuto alle prospettive inedite di un punto di vista che si colloca al di fuori delle percezioni più abituali, proprio perché già nato per i perimetri inevitabili di un’inquadratura.
Un’attitudine che ha trovato humus e fertilità in tutte quelle sperimentazioni grafico-astratte incentrate su giochi di luce, linee, triangoli, cerchi e quadrati che hanno reso famoso lo stile Bauhaus. Per Moholy-Nagy, l’esempio si fa lampante nel suo Ein Lichtspiel schwarz-weiss-grau (1930-32), un caleidoscopio meccanico in cui la percezione visiva viene inghiottita negli ingranaggi a scatto di un balletto "automatico" di forme geometriche astratte. Ma su questo versante la pattuglia di artisti d’area Bauhaus che si è cimentata nella lavorazione d’analogo indirizzo non è certo minoritaria. È infatti con i cortometraggi di Werner Graeff, Rudolf Jüdes, Heinrich Brocksieper, Kurt Kranz, Hans Richter, Viking Eggeling che si completerà questa ricognizione in uno dei segmenti della storia del cinema più fertili ed effervescenti per quel che concerne la ricerca sperimentale.".

Lunedì 26 ottobre, ore 20, Cinema Lumière
Moholy-Nagy
ALTER HAFEN IN MARSEILLE (Germania/1929-32, 9’)
EIN LICHTSPIEL SCHWARZ-WEISS-GRAU (Germania/1930-32, 6’)
BERLINER STILLEBEN (Germania/1931-32, 9’)
GROSSSTADT ZIGEUNER (Germania/1932-33, 12’)
ARCHITEKTURKONGRESS (Germania/1933, 28’)
Medien-kunst, edition Bauhaus
KOMPOSITION I (Germania/1922) di Werner Graeff (2’)
KOMPOSITION II (Germania/1922) di Werner Graeff (2’)
REFLEKTORISCHE FARBLICHTSPIELE (Germania/1922) di Rudolf Jüdes (24’)
FLÄCHEN, PERPELLERISTISCH, ENTE, NÄHERIN (Germania/1927) di Heinrich Brocksieper (6’)
ZWANZIG BILDER AUS DEM LEBEN EINER KOMPOSITION (Germania/1928) di Kurt Kranz (2’)
SCHWARZ: WEISS / WEISS: SCHWARZ (Germania/1929) di Kurt Kranz (2’)
RHYTHMUS 21 (Germania/1923) di Hans Richter (4’)
RHYTHMUS 23 (Germania/1925) di Hans Richter (4’)
SYMPHONIE DIAGONALE (Germania/1924) di Viking Eggeling (3’)
Accompagnamento musicale dal vivo di Marco Dalpane e Pierangelo Galantino

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