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Ninotchka

2 gennaio 2014

Garbo laughs! La Garbo ride!”. Un film entrato nel mito, per il volto di Greta Garbo, per la prima risata di Greta Garbo (doppiata! nella famosa scena), per il Lubitsch Touch, per un trio di sceneggiatori tra i quali iniziava già a spiccare un nome, quello di Billy Wilder.

Quinto titolo del progetto di distribuzione Il Cinema Ritrovato. Al cinema, inaugurato dalla Cineteca di Bologna e Circuito Cinema per riportare in sala ogni lunedì e martedì i grandi classici restaurati, Ninotchka sarà in 70 sale italiane, nel restauro di Warner Bros, da lunedì 6 gennaio.

Realizzato nel 1939, Ninotchka rappresenta l’ultimo grande successo di Greta Garbo, che chiuderà la carriera solo due anni dopo, nel 1941, con l’inatteso insuccesso di Non tradirmi con me di George Cukor.

Lubitsch allestisce il suo mondo di grandi alberghi, porte girevoli, nobiltà squattrinata e aristocrazia morale della servitù: siamo a Parigi, la città ha stregato i tre agenti sovietici mandati da Mosca, poi il suo dolce delirio d’amore e champagne scioglierà anche l’inflessibile commissario Nina Yakusciova: “Compagni! Compagni, la rivoluzione è in marcia, le bombe cadranno, la civiltà occidentale crollerà a pezzi. Ma per favore, non adesso”.

La Garbo ride, ed è una risata di resa a una vita nuova, una risata d’addio all’edificazione socialista. Quella risata formidabile per potere pubblicitario, perfetta per messinscena comica, è carica di presagi e fu il principio della fine anche per la carriera della Divina. Ma come direbbe la compagna Yakusciova, non ancora, non adesso: quel che abbiamo ora è un film di complessa eleganza, un conflitto romantico di candore voltairiano e ironia sofisticata, meravigliosamente illuminato da William Daniels, splendidamente arredato da Cedric Gibbons: e a Hollywood, in questi anni, non c’è di meglio.


Il Cinema Ritrovato. Al Cinema
Classici restaurati in prima visione


Dal 6 al 28 gennaio nelle sale italiane, ogni lunedì e martedì
NINOTCHKA (USA/1939) di Ernst Lubitsch (110’)
Restauro di Warner Bros per concessione di Hollywood Classics

Ninotchka è uno dei pochi film di Lubitsch che nascano da un’idea non sua: lo spunto è di Melchior Lengyel, commediografo ungherese a libro paga MGM; è la stessa Garbo a pretendere Lubitsch, il quale, a sua volta, pretende di scegliere gli sceneggiatori, ovvero la coppia Charles Brackett-Billy Wilder già sperimentata nell’Ottava moglie di Barbablù, e il sodale viennese Walter Reisch.
Il risultato è un film che ci introduce con agio squisito al consueto mondo parigino di maîtres d’hotel, camerieri e maggiordomi, a quella lubitschiana aristocrazia della servitù che trova qui incarnazioni letterali: il capocameriere dell’albergo Clarence è in realtà un conte russo, già in fuga dalla rivoluzione, e alla ‘famiglia’ in fondo appartengono anche gli ispettori Bulianoff, Iranoff e Kopalski (non a caso finiranno con l’aprire un ristorante a Costantinopoli): esemplare la scena della loro rapida conversione ai piaceri del vivere occidentale, solo intuita dietro una porta chiusa, da cui arrivano grida d’esultanza e da cui entrano ed escono bottiglie di champagne e cameriere dalla gonna corta.
Ma l’arrivo della compagna Nina Yakusciova fa ripartire tutto da capo. Greta Garbo è irriducibile: volto di neve, bocca senza sorriso. È nel suo ambiente: Bill Daniels la fotografa, Adrian la veste, Cedric Gibbons arreda le sue stanze. Per metà del film, Garbo conduce Lubitsch a farla essere ciò che è sempre stata: una donna che arde d’esaltazione amorosa, e stavolta l’oggetto di passione è l’edificazione socialista. Nella sua piatta osservazione dell’Occidente, nel suo grado zero dell’interpretazione, Ninotchka ha un candore voltairano e una purezza francescana (ciò che più la intenerisce, è il cielo azzurro di Parigi e le sue rondini).
Poi, come si sa, Garbo laughs!, risata formidabile per potere pubblicitario, perfetta per messinscena comica. Una risata carica però di presagi: perché Garbo poté esplodere, frangersi, accasciarsi in una mimica allegra e convulsa, ma il suono proprio non le veniva, e la questione fu risolta solo al montaggio, con la voce di un’altra. L’aprirsi di Ninotchka al dolce delirio dell’amore e dello champagne è fatto di vignette argute (il Lenin austero della fotografia d’improvviso sorride, come il gatto d’una striscia comica) e perverse delizie (Ninotchka ubriaca, al muro le spalle orlate di chiffon, cade fucilata dal saltare di un tappo). Eppure si avverte un disturbo di fondo, un remoto disagio. L’approdo alla commedia è per Garbo l’inizio della fine (quanto le donano, più dell’organza e dei cappellini déco, i cappotti accollati, le austere camicie, la trasognata mestizia della mise sovietica...). Seguirà un solo film sfortunato, Non tradirmi con me, e di qui un’uscita di scena tribolata e dolorosa, piena di ripensamenti e false speranze.
Resta il fatto che questo s’è rivelato nel tempo il suo film più resistente e popolare, e di Greta Garbo rimane oggi più Ninotchka di quanto rimangano Anna Karenina, Margherita Gauthier o la regina Cristina. E resterà per sempre, nell’olimpo delle battute memorabili, quel suo languido, alcolico chiedere tempo al fuoco dell’ideologia: “Compagni! La rivoluzione è in marcia, le bombe cadranno, la civiltà crollerà a pezzi. Ma per favore, non adesso...”.
Paola Cristalli (Cineteca di Bologna)

 

 

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