HOLLYWOOD PARTY
(USA/1968) di Blake Edwards (98')
Regia e soggetto: Blake Edwards. Sceneggiatura: Blake Edwards, Tom Waldman, Frank Waldman. Fotografia: Lucien Ballard. Montaggio: Ralph E. Winters. Scenografia: Fernando Carrère. Musica: Henry Mancini. Interpreti: Peter Sellers (Hrundi V. Bakshi), Claudine Longet (Michèle Monet), Marge Champion (Rosalind Dunphy), Sharron Kimberly (principessa Helena), Denny Miller (Wyoming Bill Kelso), Gavin MacLeod (C.S. Divot), Buddy Lester (Davey Kane), Steve Franken (Levinson), Corinne Cole (Janice Kane), J. Edward McKinley (Fred Clutterbuck), Fay McKenzie (Alice Clutterbuck), Kathe Green (Molly Clutterbuck). Produzione: Blake Edwards per Mirisch/Geoffrey. Durata: 98'
Copia proveniente da Park Circus. Per concessione di Nexo Digital
precede
Perfetto (Italia/2012) di Corrado Ravazzini (11')
Hollywood Party dispensa una raffica di gag che possono agevolmente comparire ai vertici di un'ideale antologia del cinema comico di tutti i tempi, a dispetto dell'insuccesso che lo accolse all'uscita. Ecco per esempio Peter Sellers osservare un quadro comandi tempestato di tasti misteriosi e non resistere alla tentazione di azionarne qualcuno, imprimendo alla festa fino ad allora perfetta i primi segni di un disfacimento inesorabile. Perché un indostano invitato per sbaglio, che più di tutto tiene a fare bella figura, deve sentire un bisogno tanto impellente quanto rischioso? Si accavallano in questo gesto curiosità, incoscienza, goffaggine, sottile spirito anarchico, candore infantile, passione per il gioco: gli ingredienti ben assortiti di una miscela che scorre lungo tutto il film. Aggiungiamovi anche il gusto per l'improvvisazione, quella che prende impulso da una prova eseguita per vedere cosa succede se... Questa è anche la scommessa poetica da cui Hollywood Party prende le mosse, con appena un canovaccio di qualche paginetta pronto prima delle riprese, da portare sul set per vedere come reagisce agli estri d'attore e alle sollecitazioni del qui e ora. È sorprendente verificare come un film tanto improvvisato prenda infine le forme di un congegno perfettamente compatto, dove le tantissime cose che succedono trovano il loro posto nell'insieme con invidiabile puntualità, riempiendo lo schermo in primo piano e su uno sfondo che l'occhio dello spettatore può sempre esplorare con profitto. Il primo passo di Peter Sellers nella villa festante è già un tassello carico di presagi, il primo ingranaggio di una gigantesca ruota della sfortuna che girerà fino ad aprire le cateratte: sulle sue scarpe bianche fa sfoggio di sé una macchia di bitume, in cui si addensano il disagio del personaggio e, forse, la sua vocazione allo sberleffo. Dopo essersi guardato la scarpa insozzata, Sellers immerge la propria cravatta nella piscina, altro segno squisitamente anticipatore di un bagno che infine coinvolgerà tutti i convitati e in cui sguazzeranno ilari solo i puri di spirito, in un girotondo nella schiuma che a qualcuno è parso un omaggio alla battaglia tra le piume dei cuscini in Zéro de conduite. Il film si è ben prestato a varie letture socio-politiche, che insistono sulla riscossa dell'umile, semplice, disadattato, diverso, straniero. Certo, una rivoluzione in chiave soft che si conclude a bolle di sapone, e dove il segno più concreto del Sessantotto lo troviamo scritto a tempera sulla pelle dell'elefantino. In quanto focolare privilegiato dell'imbarazzo e vettore che innesca la 'rivolta', Sellers è costantemente sotto la lente dell'obiettivo, affrontata con una prova maiuscola che sposa cartoonismo e umanità. Eppure Hollywood Party è un film corale, dove nessuno fa da tappezzeria: su tutti il padrone di casa J. Edward McKinley, etichettato come artefice dello slow burn più lento del cinema comico; e l'etilico cameriere Steve Franken, che per molti versi rispecchia la tragedia e il trionfo dell'ospite indostano.
(Andrea Meneghelli)
Tariffe:
Ingresso libero