L’ULTIMO METRÒ
(Fra/1980) di F. Truffaut (131')
Regia: François Truffaut. Soggetto e sceneggiatura: François Truffaut, Suzanne Schiffman. Fotografia: Nestor Almendros. Montaggio: Martine Barraqué. Scenografia: Jean-Pierre Kohut-Svelko. Musica: Georges Delerue. Interpreti: Catherine Deneuve (Marion Steiner), Gérard Depardieu (Bernard Granger), Jean Poiret (Jean-Loup Cottins), Heinz Bennett (Lucas Steiner),Andréa Ferréol (Arlette), Paulette Dubost (Germaine), Sabine Haudepin (Nadine), Maurice Risch (Raymond), Jean-Louis Richard (Daxiat). Produzione: Les Films du Carrosse, Sedif,TF1, SFP. Durata: 128'
Copia proveniente da MK2
Il grande successo che è toccato al film in Francia può essere spiegato con diversi motivi, tutti attendibili: la freschezza e la fluidità dell'intrigo romanzesco, la presenza di attori molto conosciuti, il fatto che il nome diTruffaut, dopo vent'anni di cinema, sia ormai entrato nelle orecchie dello spettatore medio. Ma anche, probabilmente, il fatto che la vicenda sia ambientata durante gli anni dell'occupazione tedesca [...]. Ecco dunque Truffaut (classe 1932) riandare con la fantasia insieme ai suoi sceneggiatori prediletti, e particolarmente a Suzanne Schiffman sua collaboratrice di fiducia, ad un periodo che egli ricorda bambino, e che evidentemente, su di lui, esercita la stessa fascinazione che su milioni di altri europei. Come vivevano, come si comportavano, che cosa facevano gli adulti, in quegli anni? La chiave che Truffaut ha deciso di utilizzare per aprire il forziere di tante memorie collettive è, significativamente, quella di un teatro. È perfino troppo facile dire che che egli ha inteso qui descrivere le coulisses del teatro, così come aveva fatto in Effetto notte con quelle del cinema. Ma è indubbiamente vero che l'operazione risulta in qualche modo analoga, con una punta di maggior commozione retrospettiva e di più approfondita intenzione autoanalitica. [...] Si avverte di continuo nel film il piacere di girare e il gusto di condurre a buon fine un'operazione duplice: di memoria inventata e di memoria reale. Tutto questo clima, ormai lontano, ambiguo e nebbioso, rivive nel film grazie ad un meccanismo prodigiosamente perfetto filtrato dalla fotografia di Nestor Almendros come attraverso una immensa lente rovesciata verso il passato. Un passato che ci restituisce tutto il Truffaut che abbiamo amato e che amiamo, amichevole, sottile, elegante e dolcemente malinconico.
(Claudio G. Fava)
L'ultimo metrò è un grande film d'amore. Un amore sommerso, dissimulato, quasi impercettibile quanto reso pubblico, febbrile, convulso era l'amore in Adele H. Pochi sguardi curiosi e occasionali di Marion Steiner. Un bacio improvviso dietro il sipario la sera della prima. Lo schiaffo apparentemente immotivato all'annuncio che Bernard vuole entrare nella Resistenza. La strategia del discorso amoroso è condotta da Marion e Bernard è il tipico uomo truffautiano che ama le donne (Arlette, Nadine, Martina) e inventa e ripete per ognuna battute sempre identiche. Bernard è affascinato non più del necessario dalla parte del seduttore. L'amore come su un palcoscenico: finzione-realtà, vero-non vero, ruoli e personaggi. Il fatto che la passione fredda tra Bernard e Marion sia doppiamente circoscritta dal teatro come struttura topografica e come 'mondo' regolato da riti, convenzioni subordinate al palcoscenico e al rapporto con la platea [...] moltiplica gli effetti della finzione. Truffaut è convinto che il cinema sia un laboratorio dove è possibile riprodurre non la vita, ma l'economia dei rapporti umani, la logica dei sentimenti, le regole che rendono possibile la vita stessa: un laboratorio, quindi, non ideologico o politico, ma etico.
(Enrico Magrelli)
Tariffe:
Ingresso libero