MARIA ZEF
(Italia/1981) R.: Vittorio Cottafavi. D.: 123'. V. dialetto friulano con sottotitoli italiani
Presentano Livio Jacob e Sergio Grmek Germani
L'elemento, pur presente nella Drigo [Paola Drigo, autrice del romanzo Maria Zef, Treves, 1936 ndc], che Cottafavi tende maggiormente a sviluppare è quello tragico. Ben inteso, Maria Zef è opera talmente complessa - e grande - da implicare anche altri riferimenti. Antropologici, per la precisione con la quale vengono ricostruite le modalità di vita contadina: la durezza del lavoro di volta in volta accettata come una maledizione o vissuta in serenità nei momenti lieti (c'è perfino una ripresa dal vero, quella straordinaria, del parto della mucca); l'incesto come occorrenza estrema di un'endogamia diffusa nei paesi sperduti sulle montagne; la ritualità delle feste, dei balli e dei racconti di stalla; una religiosità confusa e cupa, che si confonde con il senso panico e trova sfogo nella bestemmia. Simbolici, per la capacità di investire la vicenda di significati che ne trascendono le contingenze storiche e geografiche, generalizzandoli a una universale condizione umana. Pittorici, per l'uso sommesso, senza citazioni dirette, che il regista fa dell'insegnamento di artisti che, da Millet ai macchiaioli, hanno saputo accostarsi con sensibilità al mondo contadino. Ma, come anticipavamo, Maria Zef sembra soprattutto polarizzare molti elementi della grande tragedia classica, di un epos al quale il pudore ha messo la sordina: astoricità, archetipicità dei caratteri e delle situazioni, drammaticità "alta" e in qualche modo esemplare, rapporto con uno scenario naturale muto e impassibile... Probabilmente, va in questa direzione anche l'uso del dialetto che, nella sua suggestiva "oscurità", viene ad assumere una funzione analoga a quella della metrica nelle definizione di una solennità "poetica". (...) Se nel romanzo della Drigo l'orrore si mescola alla pietà, nel film di Cottafavi predomina una sorta di constatazione dell'ineluttabilità del retaggio dei miseri. In entrambi la deriva tragica è innescata dalla gelosia, che accende il desiderio (le attenzioni del Gobbo durante la festa alle Case Rotte) ma è anche affermazione di proprietà.
(Paolo Vecchi, La malga e i coturni. Appunti su Maria Zef, "Bianco e Nero", n. 559, edizioni del Centro Sperimentale di Cinematografia, Carocci Editore, Roma, 2007)
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