LE LEGIONI DI CLEOPATRA
(Italia-Francia-Spagna/1959) R.: Vittorio Cottafavi. D.: 98'. V. italiana
Il western è stato spesso - e abusivamente - accostato ai film d'azione che avevano con questo genere solo somiglianze superficiali Qui, forse per la prima volta in Europa, siamo di fronte ad un film profondamente "western" nello spirito e nel linguaggio, nel modo di mostrare i rapporti umani attraverso una totale brutalità in cui tutti gli elementi sono provocatori e non tollerano viltà o eroismo. (...) Una tale visione del mondo esclude tanto l'ironia quanto il distacco, ma non l'humour, né il tratto definito "forzato", né soprattutto un certo senso dell'assurdo: si tratta insomma di cogliere la disinvoltura degli eventi. Questo lo mostra già l'inizio straordinario del film. Ai titoli di testa seguono tre cartelli pieni fino ai margini di considerazioni storiche. Servono ad introdurre le smaglianti variazioni della folla nelle strade e nelle taverne con tumulti, discussioni, divagazioni varie e soprattutto passeggiate al mercato degli schiavi. Un dialogo conciso si incorpora ai gesti come una dimensione supplementare. Per rimanere al mercato: "Quello è destinato ad un altro uso", dice il mercante presentando un ragazzo dopo avere vantato le qualità di una mercanzia femminile. È come sempre abbandonandosi costantemente e totalmente alla gioia di raccontare e mostrare che Cottafavi riesce a condensare nel minor tempo il massimo di senso. In questo zampillare continuo, in questo fuoco rutilante di idee e trovate, sarebbe facile attingere, se non per dimostra forse questo sarebbe il mezzo migliore per arrivare ad una dimostrazione) ma preferisco rinunciare. (...) È semplice anche il movimento con cui la macchina da presa, durante un dialogo, seleziona gli interlocutori presenti, alternando indietreggiamenti e corse in avanti che hanno l'armonia di un respiro. Un'armonia che non teme per nulla l'affanno di fughe sincopate, interruzioni improvvise, salti o ritorni indietro, che derivano dalla consapevolezza di quelli che si chiamano "tempi morti", ma temono la noia mortale. Appena sembrano installarsi questi interminabili e classici dialoghi di innamorati - necessari tempi deboli che, nei film d'azione, speriamo sempre ci saranno risparmiati - "cut", rieccoci nel vivo dell'azione.
Menziono per finire la sensazionale interpretazione di un'insolita Cleopatra e di un carro da dieci cavalli. Cleopatra morirà sul suo trono, fissata nella sua regalità, dopo che Marc'Antonio ha fatto della sua morte un'ammirevole sinfonia in rosso dove ha messo tutto ciò che possedeva di eroismo e di disperazione. Perché c'è anche questo: Marc'Antonio e Cottafavi hanno saputo vedere la morte da poeti e repubblicani.
(Michel Delahaye, Le sens de l'Histoire, "Cahiers du cinéma", n. 111, settembre 1960)
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