THE AFRICAN QUEEN

(La regina d'Africa, USA-Gb/1951) R.: John Huston. D.: 105'

Qui appare uno dei connotati essenziali dell'opera di Huston: la demolizione sistematica della mitologia americana. Nei suoi film precedenti ha successivamente demolito il Detective, il Gangster e l'Avventuriero, e questa lenta ricerca degli uomini sotto la maschera di cui si servono il cinema e la letteratura, sembra raggiungere un felice coronamento con African Queen. La civilizzazione cosiddetta americana costituisce il quadro originario di queste tipologie di personaggi. Ricollocati al di fuori di ogni civilizzazione, strappati alla giungla d'asfalto, restituiti ad un sano primitivismo, questi esseri potrebbero correre il rischio di vedersi imporre da un altro paesaggio un'attitudine differente ma non meno convenzionale. Ecco perché Huston, in questo film, non ci mostra mai un'immagine dove il pittoresco del luogo occupi la posizione preminente: questa appartiene ai personaggi che non potrebbero attendersi nulla da un paesaggio a cui si sono integrati.
Così il colore ha tonalità scure, il fondo verde e grigio-blu, su cui si staccano soltanto i volti abbronzati. Perché Huston ha deciso di girare questo film in Africa anche a prezzo di innumerevoli difficoltà? Voleva ritrovare questa vita rude ma libera al contatto della natura di cui Flaherty (che fu suo amico) ci ha mostrato la grandezza, questo universo primitivo che i romanzieri americani hanno cercato con nostalgia.
(Jacques Demeure e Michel Subiéla, Le bateau de Sisyphe, "Positif", n. 3, luglio-agosto 1952)

precede
Ritrovati & Restaurati

ISOLE NELLA LAGUNA
(Italia/1948) R.: Luciano Emmer, Enrico Gras. D.: 12'
Isole nella laguna non si svolge su una storia, e d'altra parte non è un documentario turistico, ma una collezione delle più belle vedute attaccate l'una all'altra. Traduce in immagini ciò che Emmer ha scoperto dei sentimenti, delle emozioni delle isole. L'acqua piatta e unita che combacia col cielo in un grigio opaco, nel quale l'orizzonte sparisce è un'acqua traditrice. Su di essa passano le barche dei pescatori, e sembra che la laguna sia senza fondo, d'una profondità insondabile. Ma subito dopo un giovane appare camminando calmamente su questa stessa acqua, tirandosi dietro una barca senza remi: due chiazze di nero sul grigio dell'acqua e del cielo. E su questa superficie unita appaiono dei cimiteri abbandonati, delle isolette, dove una donna infila delle perle, mentre una capra mangia ciò che può restare d'erba su una terra allagata. Le vecchie chiese e le basiliche si specchiano nell'acqua che le inonda; e nell'interno dei conventi le suore insegnano il ricamo alle bambine, fino alla calata del sole. La sera il pescatore passa colla sua barca a riunire la sua famiglia dispersa nelle isole della laguna e, accompagnato dal gabbiano in volo, torna, remando lentamente, verso casa.
E noi comprendiamo che Emmer non ha detto che una piccolissima parte di quello che avrebbe voluto esprimere su Venezia. Si è fermato soltanto all'attimo bastante a produrre l'effetto desiderato, l'emozione più intensa: l'economia cinematografica pressa e concentra la ricchezza romantica dell'autore.
(Lauro Venturi, "Schermi", n. 4, 1948)

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