AFRIQUE 50 / AVOIR VINGT ANS DANS LES AURÈS
AVOIR VINGT ANS DANS LES AURÈS (Francia/1971) R.: René Vautier. D.: 100'
T. int.: To Be Twenty in the Aures. Scen.: René Vautier. F.: Pierre Clément. M.: Nedjma Scialom, Hamid Djellouli, Jacques Michel. Mus.: Pierre Tisserant, Bernard Ramel, René Vautier, Yves Branellec. Su.: Antoine Bonfanti. Int.: Alexandre Arcady (il caporale Noël), Hamid Djellouli (Youssef), Philippe Léotard (il luogotenente Perrin), Jacques Canselier (Coco), Jean-Michel Ribes (il prete), Alain Scoff (Lomic), Michel Élias (Robert), Jean-Jacques Moreau (Jacques), Yves Branellec (Youenn), Philippe Brizard ("La Marie"), Charles Tretout (Charles), Pierre Vautier (Pierrick), Alain Vautier (Lanick), Bernard Ramel (Nanard). Prod.: U.P.C.B.. Pri. pro.: 12 maggio 1972 35mm. D.: 100'. Bn. Versione francese con sottotitoli inglesi / French version with English subtitles
Da: Cinémathèque Française
Restaurato da Cinémathèque française, in associazione con Moïra Vautier, Cinémathèque de Bretagne, Région Bretagne e Festival du film français di Richmond presso il laboratorio Digimage. Il progetto ha beneficiato del finanziamento del CNC per la digitalizzazione delle opere cinematografiche. La versione restaurata in 2K rispetta il formato (1:37), il montaggio e il sonoro originali / Restored by Cinémathèque française, in association with Moïra Vautier, Cinémathèque de Bretagne, Région Bretagne and Festival du film français di Richmond at Digimage laboratory. This program was made possible thanks to the financial support of the CNC for the digitalization of the films. The restored 2K version maintains the original format (1:37), editing and soundtrack.
Introducono René e Moira Vautier e Serge Toubiana
Avoir vingt ans dans les Aurès sembrerà di primo acchito un film sulla guerra d'Algeria, soprattutto a coloro che, chi più, chi meno, l'hanno vissuta. Tutto induce a pensarlo: la sceneggiatura come la personalità di René Vautier. [...] Da una parte, anche se molti in Francia, a sinistra come a destra, desiderano dimenticarla, non sarà mai inutile meditare su eventi di tale gravità e cercare di analizzarli nelle loro manifestazioni come nelle loro cause. Dall'altra, e questo mi sembra ancora più importante, il soggetto essenziale del film oltrepassa di molto il caso singolare della guerra d'Algeria e della storia narrata dal film, anche se autentica [...]. La guerra è un meccanismo che ha una sua logica specifica. Essa implica (fatta eccezione per i professionisti, beninteso) una vita al di fuori del contesto normale da parte di chi vi partecipa, con dei rituali, degli affetti e degli odi che non hanno nulla in comune con quelli del mondo cosiddetto civile. Dal momento in cui si accetta di parteciparvi, ci si assume il rischio di una degradazione individuale, rischio tanto più grande perché, ignorando tutto di quel mondo, non siamo in grado di misurarla. Entrando in quel sistema, accettiamo di farci assorbire da una macchina senza sapere fino a che punto questa possa finire per divorarci. È questo che dimostra il film di Vautier e che ripete come leitmotiv la canzone che l'accompagna: "Fous pas les pieds dans cette merde, sinon t'y passeras jusqu'au cou" (non immergere i piedi in questa merda, altrimenti ti sommergerà fino al collo). L'idea che possedere una coscienza politica matura consenta di mantenere la propria purezza originale è un'illusione in cui ci si culla volentieri alla vigilia di una mobilitazione. Vautier distrugge anche questa illusione scegliendo come eroi non i soliti criminali assassini o casi psichatrici patologici (che offrono una coscienza rassicurante allo spettatore eliminando ogni identificazione) ma proprio degli individui coscienti, militanti, pacifisti, sicuri di sé e che lo stesso non esiteranno a commettere omicidi, stupri, torture, perché questo è nella logica delle cose. D'altronde è proprio ciò che dirà il loro tenente (paracadutista di carriera): "Non avevo nessun bisogno di obbligarvi o di indottrinarvi, a partire dal momento in cui formate un gruppo omogeneo si formano dei vincoli che vi conducono ad aggredire i nemici e ad agire così" (cito molto vagamente a memoria ma il senso è questo).
François Chevassu, "La Revue du cinéma - Image et son", n. 262, giugno-luglio 1972
At first glance Avoir 20 ans dans les Aurès looks like it is a film about the war in Algeria, especially to the people who lived through it, some more than others. Both the script and René Vautier's personality lead us to think about it. [...] On one hand, even if many people in France on both the left and right want to forget about it, it is never useless to reflect on events of such seriousness and try to analyse both their cause and the way they manifest themselves. On the other hand, and this seems more important to me, the main subject of the film goes far beyond the war in Algeria and the story that it tells, even if it is genuine [...]. War is a mechanism with its own specific purpose. It implies an out of the ordinary life for the people in it (needless to say, making an exception for professionals), with the rituals, affection and hate that have nothing in common with the so-called civilised world. From the moment when you accept to participate in it, you take the risk of individual degradation, an even bigger risk because we are ignorant of everything in that world and do not know how to measure it. Entering in that system, we accept that we will be absorbed by the machine without knowing to what extent it will destroy us. This is what Vautier's film demonstrates, repeating the song that accompanies it, like a leitmotiv: "Fous pas les pieds dans cette merde, sinon t'y passeras jusqu'au cou" (Do not tread in that shit, or you will end up with it up to your neck). The idea that possessing a mature political conscience allows us to maintain our own original purity is an illusion that we willingly nurture before mobilisation. Vautier also breaks this illusion by, instead of choosing the usual criminals, murderers and psychologically disturbed individuals as heroes (reassuring the spectator by eliminating any identification), choosing conscious, militant, pacifist and self- assured individuals who, nevertheless, do not hesitate to commit murder, rape, torture, because this is the way things are. After all, it is exactly what the lieutenant, who is a trained paratrooper, will explain: "I did not need to force you or indoctrinate you, from the moment when you formed a homogenous group, roads which lead you to attack your enemy and act in this way are also formed" (I am quoting very vaguely, but this is the gist of what he said).
François Chevassu, "La Revue du cinéma - Image et son", n. 262, June-July 1972
precede
AFRIQUE 50
(Francia/1950) R.: René Vautier. D.: 17'
Scen., F., M., Su.: René Vautier. Mus.: Keita Fodela. Prod.: René Vautier per Ligue française de l'Enseignement 16mm. D.: 17'. Bn. Versione francese / French version
Da: Cinémathèque Française
Avevo vent'anni quando girai Afrique 50. Il mio unico scopo era mostrare la verità sulla vita quotidiana dei contadini neri nell'Africa occidentale francese. Ho semplicemente filmato ciò che vedevo. Allora hanno tentato di impedirmi di filmare. In particolare i coloni mi hanno violentemente ostacolato. Questo film, al quale la Cinémathèque française ha reso un omaggio molto lusinghiero qualche anno fa, mi ha causato, all'epoca, gravi problemi. Nel 1972 Avoir vingt ans dans les Aurès ha ricevuto il premio della critica internazionale al Festival di Cannes. Nonostante questo riconoscimento, il film ha dovuto aspettare dodici anni prima di essere trasmesso dalla televisione francese. Alcuni vi hanno visto
un'accusa assurda contro i presunti benefici della presenza francese nelle colonie. Questi film comunque, continuano a essere diffusi e citati, il che alimenta il risentimento dei nostalgici del colonialismo. [...] Questi nostalgici, legati alla destra o al Front National mi perseguitano ancora oggi con la loro sete di vendetta, disturbando le manifestazioni a cui prendo parte. [...] Alcuni ambienti rifiutano categoricamente di considerare con lucidità il passato coloniale. Ma le giovani generazioni devono conoscere quello che fu fatto in nome della Francia nelle colonie. Spero che i miei film possano continuare a contribuire a questo scopo.
Rosa Moussaoui, René Vautier: "Les attardés du colonialisme poursuivent encore de leur vindicte", "l'Humanité", 4 maggio 2009
Afrique 50 è un film contro la barbarie, il colonialismo e lo sfruttamento. Afrique 50 testimonia e accusa. Le sue immagini fragili, sfuggite alla distruzione della polizia e della censura, hanno la forza di convinzione e la tenuta dei grandi film, unici e universali. Afrique 50 getta vergogna sulla maggior parte dei film documentari girati in Africa nello stesso periodo, menzogne risapute, frodi compiacenti. Girato a rischio della vita da René Vautier in condizioni allo stesso tempo epiche e tragiche - rievocate in un libro di memorie (Caméra citoyenne, Éditions Apogée, 1998) - Afrique 50, che inizia come un banale documentario, si erge ben pre- sto ad atto d'accusa contro i misfatti e le atrocità perpetrate dai coloni francesi e dall'esercito in nome della Francia. È la voce di René Vautier che risuona nella colonna sonora. L'attore ingaggiato per leggere il testo scritto, dopo aver ricevuto delle pressioni, si era ritirato all'ultimo momento e allora René Vautier, infuriato, si impadronì del microfono nello studio di registrazione e improvvisò direttamente sulle immagini.
Christian Lebrat, L'Icône, in René Vautier, Afrique 50, Éditions Paris Expérimental, Parigi 2001
I made Afrique 50 when I was twenty. My only aim was to show the truth about black farmworkers' daily life in French West Africa. I simply filmed what I saw. Some people tried to stop me from filming. The settlers in particular violently oppsed me. This film, which the Cinémathèque Française paid a flattering tribute to a few years ago, caused me big problems at the time. In 1972 Avoir vingt ans dans les Aurès received the International Critics' prize at the Cannes Festival. Despite this recognition, the film had to wait twelve years before being broadcast on French television. Some people saw it as an absurd accusation against the assumed advantages of the French presence in the colonies. However, these films continue to be distributed and referenced, something that feeds the resentment of those nostalgic for colonialism. [...] These people, with rightwing connections and links to the Front National, are still trying to get revenge, disturbing the events which I take part in. [...] Some groups categorically refuse to clearly think about the colonial past. But the young generation has to know what was done in the colonies, in France's name. I hope that my films can continue to contribute towards this goal.
Rosa Moussaoui, René Vautier: "Les attardés du colonialisme poursuivent encore de leur vindicte", "l'Humanité", May 4, 2009
Afrique 50 is a film against barbarity, colonialism, and exploitation. Afrique 50 bears witness, as well as accuses. Its fragile images, which have survived destruction by police and censors, have the force of conviction and the unique and universal quality of great films. Afrique 50 shames most documentary films shot in Africa during that period: known lies, tacit consent. At great risk to his own life, René Vautier shoots Afrique 50 under conditions that were both epic and tragic, and which he evokes in his memoirs (Caméra citoyenne, Éditions Apogée, 1998) - Afrique 50, which begins as an banal documentary, sets itself up as plea against the ravages and atrocities perpetuated by the French colonies and army in the name of France. René Vautier's voice resonates on the soundtrack. When the actor set to say the written text backs down under pressure at the last minute, René Vautier grabs the recording studio microphone in anger and improvises directly over the images.
Christian Lebrat, L'Icône, in René Vautier, Afrique 50, Éditions Paris Expérimental, Paris 2001
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