LA GRANDE GUERRA
(Italia/1959) R.: Mario Monicelli. D.: 138'
T. int.: The Great War. Sog., Scen.: Agenore Incrocci [Age], Furio Scarpelli, Luciano Vincenzoni, Mario Monicelli. F.: Giuseppe Rotunno, Roberto Gerardi, Leonida Barboni. M.: Adriana Novelli. Scgf.: Mario Garbuglia. Mus.: Nino Rota. Su.: Roy Mangano, Bruno Moreal. Int.: Alberto Sordi (Oreste Jacovacci), Vittorio Gassman (Giovanni Busacca), Silvana Mangano (Costantina), Folco Lulli (Bordin), Bernard Blier (capitano Castelli, detto Bollotondo), Romolo Valli (tenente Gallina), Livio Lorenzon (sergente Battiferri), Nicola Arigliano (Giardino), Tiberio Murgia (Rosario Nicotra), Mario Valdemarin (tenente Loquenzi), Achille Compagnoni (cappellano). Prod.: Dino De Laurentiis Cinematografica, Gray Films. Pri. pro.: 28 ottobre 1959 35mm. D.: 138'. Bn. Versione italiana / Italian version
Da: CSC - Cineteca Nazionale per concessione di Filmauro
La Prima guerra mondiale - combattuta per porre la parola fine a tutte le guerre - è ancora, dopo più d'un paio di altre guerre, la più memorabile guerra cinematografica: per la sua grandezza, per l'insensata mattanza che sembrò togliere ogni significato alla vita umana, per la novità delle tecnologie militari. Dopo Vidor, Wellmann, Barnet, Renoir, Hawks, Pabst, Milestone e qualche altro, tutto sembrava essere stato detto. Tranne quel che una trinità composta da Mario Monicelli, dalla commedia italiana e dal CinemaScope poteva portare di nuovo alle immagini, e dunque al tema. La grande guerra è, tra le altre cose, un film impossibile da classificare. È un tardo fratello di Shoulder Arms; l'immediatezza chapliniana sostituita da una visione sorprendentemente oggettiva, che riesce a evocare tutto quel che film più cupi e analitici ci avevano mostrato - restando allo stesso tempo una grande farsa, e una ribalta per il genio di Sordi e Gassman. (Gli spettatori stranieri hanno purtroppo un'idea incompleta degli straordinari film che in questi anni affrontano trasversalmente la storia italiana, da Una vita difficile di Risi a Tutti a casa di Comencini, portatori della stessa felice combinazione di racconto epico e di ironia). La più grande, la più sublime prova d'ironia arriva nel finale della Grande guerra, quando gli antieroi sono catturati, viene loro offerta la possibilità di salvarsi se passeranno informazioni al nemico, e i due rifiutano. Nel poco tempo che rimane loro, diventano persone nuove, e veri cittadini, per la prima volta; capaci d'un gesto di nobiltà e coraggio. Monicelli ha sempre sostenuto che il suo film è antieroico, non antipatriottico - un film contro la retorica ufficiale del paese che ha combattuto eroicamente riportando vittorie immortali. Mentre quella guerra aveva spazzato via milioni di individui, senza che nulla restasse dei loro volti e dei loro nomi, qui troviamo - al di là degli snodi farseschi - gli esseri umani e il loro valore. Nelle parole del regista: "Ho raccontato la Grande guerra dal punto di vista dei soldati semplici - quei poveri diavoli che venivano trascinati sui campi di battaglia. [...] Portavano con sé, in una situazione eccezionale e perlopiù incomprensibile, un bagaglio di vita difficilmente alienabile. Non c'era in loro niente di retorico, facevano una guerra e combattevano, come avrebbero fatto qualsiasi altra cosa. Insomma, il film è l'avventura di una massa amorfa di uomini che per quattro anni va avanti a combattere una guerra assurda". Dato il successo immediato (Leone d'Oro a Venezia, ex aequo con Il generale Della Rovere di Rossellini), è facile perdere di vista il rischio e la scommessa che la produzione del film rappresentò all'epoca. La commedia italiana era già nel pieno del suo vigore, con il suo rifiuto delle regole di gusto e dei tabù; tuttavia, un film antieroico sulla Guerra delle Guerre era ancora un atto oltraggioso. Fare La Grande guerra fu un poderoso gesto civile; farlo in modo così ispirato (lo stesso uso del CinemaScope e del suono sono assolutamente inventivi) sollevò Monicelli fino all'olimpo dei grandi registi italiani.
Peter von Bagh
The first World War - fought to end all wars - remains, after more than a couple of later wars, still the most memorable cinematographic war, due to its scale, the senseless butchery that didn't seem to attach the slightest importance to human lives, the shock of the new military technologies... After Vidor, Wellman, Barnet, Renoir, Hawks, Pabst, Milestone and others, everything seemed to have been said. Except what the trinity composed of Mario Monicelli, 'commedia all'italiana', and the scale of CinemaScope could bring to the images and thus also to the theme. The first wonderful thing about La grande guerra is that it is a film impossible to classify. It is, among other things, a late kindred film to Chaplin's Shoulder Arms; its immediacy replaced by an amazingly objective vision that amounts to whatever the most haunting and analytical films have reflected, yet it is also a great farce and even a vehicle for the genius of Sordi and Gassman. (Foreign spectators have a sadly feeble idea of the amazing crop of
historical films made around the same time in Italian cinema: Una vita difficile by Dino Risi and Tutti a casa by Luigi Comencini are contemporary examples that combine the epic and subtle irony). The greatest and most sublime of these ironies comes at the end of La grande guerra, when the antiheroes are caught and offered an opportunity if they would become informers. But they refuse. In the short moment they have left, they become new personalities and real citizens for the first time, capable of gestures of grace and courage. Monicelli always insisted that his film was antiheroic, not antipatriotic - and thus against the official version of a country that fought heroically and achieved immortal victories. While the war did wipe millions into non-existence, with nothing remaining of their names or faces, there were - behind the coarse farcical turn-abouts - humans and their values. In the words of the director: "I've shown the Great War from the point of view of ordinary soldiers - those poor devils who were dragged to the battlefields. [...] The protagonists of the war, the soldiers carried with them, into an exceptional and most often incomprehensible situation, a life experience difficult to get rid of. In them, there was nothing rhetorical, they made war and they fought just like they would have done something else. In a word, the film is the adventure of a mass of amorphous men who fought an absurd war for four years". Because La grande guerra was immediately successful in film festivals (winning the Gold Lion at Venice ex aequo with Rossellini's Il Generale della Rovere), it is easy to miss how risky a gamble it must have been to produce. 'Commedia all'italiana' was well on its way, with its total refusal to respect taste or taboos; still it was outrageous to make such a film about the war to end all wars. To make the film was an impressive act of citizenship; to make it in such an inspired way (e.g. the original use of CinemaScope and the inventive use of sound) raised Monicelli up to the ranks of the great Italian directors.
Peter von Bagh
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