Domenica 30 giugno 201321.45
Cinema Lumière - Sala Scorsese

L’AÎNÉ DES FERCHAUX

(Lo sciacallo, Francia/1963) R.: Jean-Pierre Melville. D.: 96'

T. it.: Lo sciacallo. T. int.: Magnet of Doom. Sog.: dal romanzo omonimo di Georges Simenon. Scen., Dial.: Jean-Pierre Melville. F.: Henri Decaë. M.: Monique Bonnot, Claude Durand. Scgf.: Daniel Guéret. Mus.: Georges Delerue. Su.: Jean-Claude Marchetti, Julien Courtelier. Int.: Jean-Paul Belmondo (Michel Maudet), Charles Vanel (Dieudonné Ferchaux), Michèle Mercier (Lou), Malvina (Lina), Stefania Sandrelli (Angie), Barbara Somers (l'amica di Lou), Edouard F. Médard (Suska), Todd Martin (Jeff), André Certes (Émile Ferchaux). Prod.: Spectacles Lumbroso, Ultrafilm, Sicilia Cinematografica. Pri. pro.: 25 settembre 1963. 35mm. D.: 96'. Col. Versione francese con sottotitoli svedesi / French version with Swedish subtitles
Da: Swenska Filminstitutet


L'Aîné  des  Ferchaux
  è  uno  dei  Melville meno conosciuti, un film che si perde in lontananza tra le ombre alte di Lo spione (che lo precede) o di Tutte le ore feriscono... l'ultima uccide (che lo segue) - per non parlare di Frank Costello - Faccia d'angelo, o dei Senza nome. Non rientra nella categoria del gangster film, né nella categoria dei 'casi a parte' cui appartengono l'ironico Bob il giocatore o la trasferta americana di Le jene del quarto potere. È un film da Georges Simenon, e dunque ancora una volta un film su una fuga e su un'indagine nel profondo dell'identità. Eppure  anche  all'interno  della  'famiglia' simenoniana  L'Aîné  des  Ferchaux  è  un film piuttosto trascurato, ed è da riscoprire quanto naturalmente si collochi tra i migliori (accanto ai film di Duvivier, Renoir, Decoin). Il film nasce sotto strani auspici; l'approccio di Melville non è esattamente devozionale, il primo trattamento è di fatto quasi una sceneggiatura originale. Allo stesso tempo, insiste sul fatto di essersi mantenuto "fedele allo spirito del romanzo". Sia come sia, questo è un Simenon divorato da un regista che modella il film sulla sua agenda personale, a cominciare dal proprio intenso love affair con l'America. Ci sono riferimenti apparentemente casuali a fatti recenti o dell'ultima ora, la morte di Edith Piaf (nello stesso 1963), i Kennedy e la crisi cubana (novembre 1962), una canzone di Frank Sinatra dal film di Capra Un uomo da vendere (1959); altri  hanno  un valore  più  chiaramente emotivo, come la visita alla casa natale di Sinatra (quel sussurro quasi in apnea, "Frankie boy..." è memorabile quanto il "Bogey..." di Fino all'ultimo respiro), o le citazioni dai film di boxe di Robert Wise. L'Aîné des Ferchaux è un road movie che afferra l'essenziale con un uso vivido e prodigioso del colore, con uno Scope che ci fa sentire palpabilmente proprio - mentre per questo film nessuno, né Charles Vanel né Belmondo, mise realmente piede in America: già questa un'impresa di per sé, visto che l'America di Melville risultò abbastanza vera (nello spirito) da guadagnarsi i complimenti dell'ambasciata americana per la sua 'autenticità', e da ispirare commenti come "le immagini di questo Sud faulkneriano resteranno nella nostra memoria per molto tempo ancora, dopo che la storia ne sarà scivolata via" (Henri Chapier). Il cuore del film è la storia del vecchio Ferchaux, che si lega d'affetto al giovane Maudet ("Non dimentichiamo che Maudet è un eroe melvilliano", suggeriva lo stesso  regista):  un  caleidoscopio  sul  potere, sul rapporto padre-figlio, sul denaro, sulla gelosia, sulla scommessa dei sentimenti; sembra esserci anche un'inedita corrente omosessuale, ma tutto è in realtà molto più complicato. Più in generale L'Aîné des Ferchaux è un film sull'amore impossibile, e per questo forse il più tenero, il più crudele, il più personale film di Melville. Uno strano film, dove una torsione molto simenoniana (o se preferite, melvilliana) ci dice che l'assenza del delitto può essere narrativamente intensa quanto il delitto. L'intensità dell'incompiuto. Un indizio proviene dallo stesso Melville: il vecchio Ferchaux sarebbe un velato ritratto di Howard Hughes (si aggiunge così un altro tassello  al quadro delle  rappresentazioni cinematografiche di quest'uomo misterioso, il più essenziale, probabilmente, insieme al personaggio di Robert Ryan in Nella morsa di Max Ophuls). Hughes è un'altra traccia che lega L'ainé des Ferchaux al tempo presente: sparì per sempre dalla vita pubblica proprio mentre si girava il film. La sua assenza, e il vecchio Ferchaux come suo possibile specchio, aggiungono un ultimo tocco conturbante al melvilliano gioco di ombre.

Peter von Bagh



L'Aîné des Ferchaux is a seldom-seen Melville film, definitively enclosed by the deep shadows of Le Doulos (that preceded it) or Le Deuxième souffle (that followed), not to mention Le Samouraï or Le Cercle rouge. True enough, it doesn't fit the category of the gangster film, as it doesn't fit the improvised ironies of Bob le flambeur or Melville's earlier 'American trip', Two Men in Manhattan. And that is of course all due to Georges Simenon, meaning that once again it is a film about escape and an investigation that goes to the depths of identities, a search for something neither of the two men in the story knows. Even within the Simenon category L'Aîné des Ferchaux is pretty much forgotten, but we estimate that it is essentially situated among the finest, including films from Duvivier, Renoir, Decoin. In any case the film was born under strange signs, as Melville's approach was not entirely kindly oriented, starting with a first draft that was practically an original script. At the same time he insisted on "being faithful to the spirit" of the novel. Be that as it may, it's a "Simenon" devoured by a filmmaker who filled the film with his personal agenda, above all his profound love relationship with  "America". First and more innocently, there are the references, some timely like Piaf's death, Kennedy and the Cuban crisis (November 1962), a Sinatra song from Capra's  last film, A Hole in the Head; some emotional associations, like the visit to the street where Sinatra was born (Belmondo's gasp, "Frankie Boy...", is as memorable as his "Bogey..." in Breathless) or citations from films of Robert Wise (boxing). This is a road movie that catches the essentials with masterful, brightly-lit color and a Scope camera that is almost palpably there, and yet neither Charles Vanel nor Jean-Paul Belmondo ever set foot in the States (an amazing feat). It's an America that seemed true enough (in spirit) to have been congratulated by the American Embassy for its authenticity, and inspired the comment that "the images of the very 'Faulknerian' South will stay in our memory long after the story has faded" (Henri Chapier). Yet, the poignant part of the film relates to the story of an old man, Ferchaux, becoming emotionally attached to a young man, Maudet  ("Don't  forget  that  Maudet is a Melvillean hero", the director himself pointed out): it's a kaleidoscope about power, the father-son theme, money, jealousy, emotional gambling, a newly found penchant for homosexuality, and yet never anything as simple as that. Really, it's a film about  impossible  love,  and  as  such perhaps Melville's most tender, cruel and personal film. This is a strange film with a very Simenonian (or, as you like it, Melvillean) twist: something  as  poignant  as a crime might be the absence of crime - something left undone. One strange lead comes from Melville himself: the old man Ferchaux is a veiled portrait of Howard Hughes, thereby providing another angle on the cinematographic reflections of the strange man, perhaps his most essential portrait along with Robert Ryan's character in Ophuls's Caught. Hughes is one more contemporary reference, given that he disappeared from public life exactly when Melville's film was being made. His absence, with Ferchaux as his indirect reflection, adds an intriguing touch to Melville's shadow play.

Peter von Bagh

Lingua originale con sottotitoli Lingua originale con sottotitoli
Dettagli sul luogo:
Piazzetta Pier Paolo Pasolini (ingresso via Azzo Gardino 65)

Numero posti: 144
Aria condizionata
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