James Dean
Eterna star della generazione dell’Actors Studio e icona culturale, James Dean è il protagonista della ‘trilogia restaurata’ di quest’anno: oltre a Rebel without a cause (Gioventù bruciata, 1955), sarà presentata la versione restaurata dei suoi due altri film, East of Eden (La valle dell’Eden, 1955) di Elia Kazan e Giant (Il gigante, 1956) di George Stevens. “James Dean va contro cinquant’anni di cinema”, ha scritto François Truffaut. “Ogni gesto, ogni atteggiamento, la mimica sono un affronto alla tradizione psicologica. La recitazione di James Dean è più animalesca che umana. Per questo è imprevedibile: quale sarà il gesto successivo?”.
La grande intuizione di Kazan fu James Dean, un giovane attore che aveva interpretato il provocante ragazzo arabo nell’adattamento teatrale dell’Immoralista di André Gide ed era riuscito a sedurre non solo il protagonista ma anche la critica. Fu lo sceneggiatore Paul Osborn a proporre Dean, e dopo un breve colloquio Kazan fu certo che questo ragazzo era Cal. Steinbeck fu d’accordo, disse “eccome se lo è!” e la questione fu risolta. Dean era un principiante e la sua tecnica recitativa era ancora scarsa. “Jimmy poteva capire subito la scena, senza indicazioni dettagliate – accadeva il novanta per cento delle volte – o non capirla affatto”.
(Robert Cornfield, a proposito di La valle dell'Eden)
Sentivo che il corpo di Dean era molto grafico; a volte era letteralmente torto dal dolore. Addirittura camminava come un granchio, come se cercasse sempre di rannicchiarsi. Io me ne accorgevo, ma non è una cosa visibile nei primi piani. Comunque Dean era storpio dentro – non era come Brando. La gente li paragonava, ma non c’era nessuna somiglianza. Era un ragazzo molto, molto più malato, e Brando non è malato, è solo tormentato. Ma penso anche che ci sia qualcosa di speciale nel volto di Dean. È un volto così desolato e solo e strano. E ci sono momenti in cui uno si dice “Oh, Dio, ma è bellissimo – che spreco! Quanta bellezza perduta!”.
(Elia Kazan)
“In James Dean i giovani d’oggi si ritrovano completamente, e più che per le ragioni che si citano di solito, violenza, sadismo, frenesia, malvagità, pessimismo e crudeltà, per altre infinitamente più semplici e quotidiane: pudore dei sentimenti, fantasia in ogni occasione, purezza morale senza rapporti con la morale corrente ma più rigorosa, gusto inestinguibile dell’adolescente per la competizione, ebbrezza, orgoglio e rimpianto di sentirsi ‘fuori’ della società, rifiuto e desiderio di integrarsi e infine accettazione – o rifiuto – del mondo come è”.
(François Truffaut, a proposito di Gioventù bruciata)
Non c’è immagine del giovane Jett Rink in Giant, non c’è sua apparizione, sua fuga, suo sguardo sbieco, suo ritrarsi in penombra che non sembri già predisposto in funzione del mito (e relativo merchandising). Jimmy Dean, cappello calato sugli occhi, allunga le gambe sul cruscotto della macchina scoperta. Jimmy Dean appoggiato allo stipite della porta, questa volta il cappello getta un’ombra su metà del viso, esasperando il rilievo delle labbra socchiuse a reggere la sigaretta. Jimmy Dean corre, solo come un giovane coyote, su uno sfondo vuoto di deserto – come il giovane coyote che Liz Taylor vede, annuncio di terra selvatica, dal finestrino del treno su cui ha appena consumato la sua notte di nozze. Non è solo luce postuma, la tragedia americana dell’eroe giovane e bello – e killed in action (su una strada della California, a riprese non ancora ultimate). La presenza di Jimmy Dean in Giant risponde a un esigente processo di costruzione divistica.
(Paola Cristalli)
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