Tutto Maciste, uomo forte
Programma a cura di Claudia Gianetto e Stella Dagna (Museo Nazionale del Cinema), Davide Pozzi e Alessandro Marotto (L’Immagine Ritrovata)
«Evvi creatura umana che ignori Maciste?» si chiedeva un ignoto articolista italiano alla fine degli anni Venti. La domanda era retorica. Il gigante buono godeva all’epoca di una popolarità incondizionata, che gli permise di affrontare con buoni incassi la profonda crisi produttiva che in quegli anni travolgeva generi e colleghi famosissimi fino a pochi anni prima. I racconti relativi alla nascita del personaggio non si sottraggono alla leggenda popolare: Bartolomeo Pagano, camallo al porto di Genova, fu scoperto da due collaboratori del regista Giovanni Pastrone che, appena lo videro, si resero conto di aver incontrato l’interprete ideale per il personaggio dello schiavo possente e buono previsto in Cabiria. D’Annunzio lo ribattezzò Maciste, inventando il richiamo a un finto semidio mitologico.
Era prevedibile che il personaggio sincero, fedele e fortissimo destasse le simpatie del pubblico, come era successo a Ursus nel Quo vadis?. La sintonia che Maciste trovò subito con gli spettatori ebbe comunque dell’incredibile. Con la sua recitazione naturale e il suo humour popolare conquistò tutti, fissando le caratteristiche di un “tipo” e convincendo Pastrone, regista immaginifico ma anche imprenditore accorto, a lanciare una serie di lungometraggi che lo vedessero protagonista. Di successo in successo Maciste sarà alpino, medium, poliziotto, imperatore, innamorato, nella gabbia dei leoni e molto altro. Il fenomeno cinematografico diventa di costume. Nascono epigoni e imitatori.
Una pausa di due anni, durante la quale si trasferisce in Germania per girare alcuni film non memorabili, non gli aliena l’affetto del pubblico. Ritornato in Italia, produce per la Fert-Pittaluga alcuni dei suoi titoli più famosi, quali Maciste contro lo sceicco e Maciste all’inferno, il film a cui Federico Fellini racconta di dovere la sua vocazione registica. Alla fine degli anni Venti Pagano si ritira a vita privata a Villa Maciste, nell’entroterra ligure, minato nel fisico da problemi di salute che lo ridurranno anni dopo sulla sedia a rotelle.
Il personaggio sopravviverà all’interprete. Negli anni Sessanta il genere peplum troverà nuova linfa e Maciste s’imporrà come icona camp, grazie alle pellicole di alcuni dei nostri migliori registi di genere quali Carlo Campogalliani, Riccardo Freda e Sergio Corbucci. È su questi film che si costruisce l’immaginario macistiano del pubblico contemporaneo, che fino a pochi anni fa poteva difficilmente accostarsi alla produzione muta, per lo più invisibile o disponibile in copie bianco e nero, mutile e in cattive condizioni.
Il programma di restauro della serie Maciste che il Museo Nazionale del Cinema e la Cineteca di Bologna promuovono dal 2005 trova nella rassegna proposta al festival uno sbocco naturale, che permetterà a curiosi e appassionati di concedersi una full immersion nel mondo di Maciste. L’occasione di visionare i film in blocco, se ci si presta al gioco della ricerca di continuità e differenze, svela quanto questo cinema popolare intercettasse e interpretasse lo spirito di un paese e di un’epoca.
La serie Maciste ci parla di politica. Molti hanno rimarcato l’evidente somiglianza, nel fisico e nelle posture, tra Bartolomeo Pagano e Benito Mussolini, ipotizzando una consapevole strategia messa in campo dal dittatore nel riproporre gli accenti più popolari dell’eroe. Allo stesso tempo l’avvento del fascismo esercita un’influenza via via sempre più evidente nei film della serie, che rinuncia ai toni più scanzonati e anarchici per concentrarsi sulla celebrazione di una forza semplificatrice che si oppone ai sofismi di intellettuali e burocrati. Maciste sempre più propone la sua forza come garante per reintegrare i diritti di una legittimità debole: principi ereditari distratti da donne di malaffare, ereditiere maltrattate da tutori in cattiva fede, monarchi dell’inferno alle prese con le rivolte dei demoni. Non è difficile intravedere in questi film un parallelo con le vicende della debole monarchia italiana bisognosa della tutela di un “uomo forte”.
La serie Maciste ci parla anche dell’avvento della “cultura fisica” e del rapporto tra i sessi. Gli uomini forti impongono la ribalta del corpo maschile sullo schermo. Spesso proposto come modello di armonia classica, il fisico di Pagano deve invece molto di più al mondo delle fiere, dei forzuti da circo, dei giochi di destrezza, come rivelano le performance fisiche che ripropone a ogni film: rottura delle catene, abilità nel liberarsi dalle corde, sollevamento di pesi enormi con minimo sforzo; in un caso solleva addirittura un tavolo di legno massiccio coi denti, riproducendo un tipico esercizio circense. Il rapporto con le partner non è quasi mai connotato in senso sentimentale, forse per depotenziare il richiamo all’erotismo che il corpo di Pagano rappresenta.
I film di Maciste ci parlano anche della storia del cinema: la serie è una cartina di tornasole sensibilissima alle mode cinematografiche del momento, pronta a ibridarsi con i generi più diversi per ricostruire nuovi contesti in cui far agire l’eroe. Se, ancora oggi, Maciste è una figura che appartiene al nostro linguaggio comune, da cui si prende spunto per un nickname a cui si dedicano canzoni pop, significa che il gigante ha ancora qualcosa da dirci. Forse perché è l’icona di un’utopia ancora viva, quella della forza bruta al servizio del bene, che con uno scapaccione fa piazza pulita dei conflitti etici che attanagliano l’uomo contemporaneo.
(Alberto Barbera, Gian Luca Farinelli)
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