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'Notte senza fine' di Raoul Walsh in Piazza Maggiore

20 giugno 2012
Era tra i fondatori, nel 1927, dell’Academy che dal 1929 assegna gli Oscar: dopo gli esordi con Griffith (assistente alla regia e interprete nel caposaldo Nascita di una nazione), Raoul Walsh intraprende una carriera che il festival Il Cinema Ritrovato attraverserà con quindici titoli che coprono un arco di tempo dal 1914 al 1957, passando per i successi con attori del calibro di John Wayne (Il grande sentiero, 1930), Gary Cooper (Tamburi lontani, 1951), Clark Gable (La banda degli angeli, 1957).
Ma un primo assaggio del cinema di Raoul Walsh avrà invece il volto di Robert Mitchum, protagonista di Notte senza fine, western diretto nel 1947 e in programma domani, giovedì 21 giugno, alle ore 22 in Piazza Maggiore, nel cammino di avvicinamento al festival Il Cinema Ritrovato, promosso dalla Cineteca di Bologna dal 23 al 30 giugno.


Presentazione a cura di Peter von Bagh

Dopo gli omaggi a Josef von Sternberg, Frank Capra, John Ford e Howard Hawks, ecco il nome che rappresenta l’avventura e il cine-ma puro, l’azione e la meditazione, lo spettacolo e il silenzio: Raoul Walsh (1887-1980). Come ha scritto Jean Douchet, i film di Walsh sono «un’avventura interiore»: «Questo shakespeariano passionale è un regista intensamente fisico perché dipinge prima di tutto il tumultuoso mondo mentale». Il nostro programma si compone di una selezione di film muti, importanti quanto spesso trascurati, e di alcuni tesori del periodo sonoro, a partire dalla magnifica avventura in formato panoramico di The Big Trail del 1930.
A Hollywood Walsh fu un ribelle solitario: rifiutò la rete di sicurezza delle ‘sceneggiature di ferro’ e creò ondate di idee ‘intraducibili’. Era un custode leale (senza il controllo e il prestigio di un Ford o di un Hawks) del cuore puro e irriducibile dell’epoca di Griffith, e modernista per istinto. Anche se lavorò sempre all’interno del si-stema, era più vicino allo spirito di Stroheim o di Ingram e ritornava sempre al sogno originario della libertà creativa.
Il suo amico Errol Flynn descriveva questo atteggiamento come un «fondamentale entusiasmo» per «tutte le cose semplici della vita: respirare, mangiare, bere, pescare, scherzare, spassarsela e tutte le altre cose che cominciano con la s». Walsh interpretava nel modo più naturale, spontaneo e rilassato qualsiasi genere, infrangendone le convenzioni: questo stato di indisciplinata felicità è un elemento essenziale dei suoi film.
Sapeva trattare il film d’azione (il western, il film di guerra) svuotandolo completamente d’azione. Possedeva un mirabile senso dell’assurdo: solo in un film di Walsh possiamo leggere la didascalia «la migliore guerra a cui abbia mai assistito», e solo Walsh può far passare frasi come «Charmaine era affascinata dalla visione dei soldati che si avviavano alla morte» mantenendo una profonda serietà. La guerra, spesso un tema disincarnato, ispira a Walsh una dialettica inimitabile di farsa e nausea (come in What Price Glory). Walsh sa essere altrettanto duro con la società e con la natura umana, che stia parlando di un ring, di un’impresa commerciale o della primitiva accumulazione di denaro in una città del West. Ma sotto questa durezza pulsano un erotismo e una vitalità che infondono energia a tutto: attori, genere, trama. Per non parlare del concreto senso della natura, spesso descritta come uno spazio meraviglioso percorso dal fremito di una morte grottesca.
La fantasia futuristica di The Thief of Bagdad, con i suoi cavalli alati, dice tutto del boom finanziario e delle illusioni degli anni Venti. Le crisi isteriche che caratterizzano molti film più tardi esibiscono la crudeltà in cui si radica la ricchezza americana: con le sue storie di psicopatici Walsh è stato un lucido osservatore della nevrosi del secolo, che declinò anche nel suo equivalente romantico di amore e morte.
Walsh aveva un talento straordinario per l’osservazione dell’ambiente sociale. Come scrisse Manny Farber, sapeva «rendere po-etico un malinconico, livido ambiente piccoloborghese». Farber aggiunge che Walsh è «cugino del Renoir di Toni, del Vigo di L’Atalante, del Brassaï fotografo di strada: un cugino devoto alla gente, più vivace e giocoso dei suoi equivalenti francesi». Pochi hanno saputo evocare il senso del ventesimo secolo in modo altrettanto bello e tangibilmente vivo.


Sotto le stelle del cinema. Verso Il Cinema Ritrovato
La grande avventura di Raoul Walsh

Giovedì 21 giugno, ore 22, Piazza Maggiore
PURSUED (Notte senza fine, USA/1947) R.: Raoul Walsh. D.: 101’
versione originale con sottotitoli italiani
Raoul Walsh dirige Pursued nel pieno dei suoi anni Warner. È la sua stagione aurea, e la salute creativa genera audacia. Il film ha la superficie scabra del western, la struttura enigmatica del noir, l’eco portentosa della tragedia: chiama a raccolta codici e generi, e tutti li trasfigura nel bagliore d’un lampo. Lo scrive Niven Busch, già sceneggiatore di Duello al sole (dove pure ricorrevano la figura dell’orfano, la famiglia vicaria, la rivalità tra fratelli, le cavalcate selvagge). Come altri capolavori del decennio (dopo La fiamma del peccato e prima di Viale del tramonto), è completamente abitato da un flashback. Mentre aspetta l’arrivo della pattuglia dei suoi giustizieri, Robert Mitchum dal corpo così solido e ampio, dalla vita interiore così frantumata, ripercorre le tappe d’un destino innescato da eventi funesti che lui nemmeno può ricordare. Perché lo fa? La sua interlocutrice già sa quel che lui racconta, e non può aiutarlo a fare luce sul buio che lo opprime. Questo sarebbe il più immotivato dei flashback, non fosse in realtà un soliloquio in articulo mortis, il riconvocare i propri fantasmi, ora che il lungo viaggio al termine della notte (senza fine) s’è compiuto e l’ultimo nodo sta per sciogliersi – prima che il cappio stringa la gola.
La psicoanalisi è stata spesso chiamata in causa, in sagaci letture (la più recente, e italiana, è quella di Cesare Secchi e Paolo Vecchi, Lampi e speroni danzanti) e con buone ragioni, per dar conto di ciò che avviene in Pursued. A una lettura molto semplice, le buone ragioni sono: un trau-ma dell’infanzia, una rimozione, il ritorno del rimosso, la conquista dell’identità. C’è poi una mitologica figura di madre che è insieme malattia e cura, sacro tabernacolo della colpa e colpo di fucile che restituisce la vita; e c’è, vero ingombro struggente ed erotico, una sorella-sposa. Non c’è traccia qui di processo meccanico, di vincolo esplicativo, come accade in altri psycomovies anni Quaranta, anche belli (Pursued, insomma, non è Spellbound); la storia è trascinata da una forza così concreta e cosmica che più adatte sembrano, a descriverla, le parole di Lourcelles: «Un universo che comincia nel profondo del cuore di un uomo e va a perdersi da qualche parte, nell’infinito dei cieli». Nel cielo del New Mexico notturno o accecante, tra gole di roccia, nelle inquadrature che Walsh e James Wong Howe svuotano d’ogni figura, fino a farle diventare puro sgomento.
Nel suo film più selvaggio e deragliato, Walsh racconta in fondo una classica parabola americana: Jeb Rand/Robert Mitchum sta solo cercando il proprio po-sto nel mondo. Fuori da una famiglia che non è la sua, accanto a una donna che è la sua. Il senso del viaggio di un eroe che senza volere uccide i propri mostri è allo-ra questo, dissipare l’ombra d’incesto che da sempre danna gli amanti? «Porta tua moglie a casa, Jeb». Pursued è film misterioso e prismatico: e da qualsiasi parte del prisma lo si guardi, uno dei più belli della storia del cinema. (Paola Cristalli)


Sotto le stelle del cinema
Bologna, 19 giugno – 30 luglio 2012

Spettacoli

Piazza Maggiore: ore 22 (dal 19 giugno al 16 luglio); ore 21.45 (dal 17 al 30 luglio)
ingresso gratuito

Ufficio stampa Cineteca di Bologna

Andrea Ravagnan
(+39) 0512194833
cinetecaufficiostampa@comune.bologna.it

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