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Omaggio a Gian Vittorio Baldi

21 dicembre 2010

Un film maledetto, osteggiato da destra a sinistra, bandito dal mondo cattolico: la storia del film Luciano è tormentata tanto quella dei suoi diseredati protagonisti, figli di una periferia romana che non lascia speranze (e fu proprio questa assenza di orizzonti a far condannare il film, tanto dalla critica cattolica che da quella marxista).
Realizzato da Gian Vittorio Baldi nel 1962, Luciano uscì solo nel 1967, un anno prima che il regista desse vita a quello che è forse considerato il suo film più importante, Fuoco!, nel 1968.
Gian Vittorio Baldi ha da poco compiuto ottant’anni (è nato a Bologna il 30 ottobre del 1930) e la Cineteca di Bologna –che da alcuni anni persegue la riscoperta del suo lavoro, a cominciare da Fuoco! cui ha dedicato una delle prime uscite del proprio marchio editoriale- lo vuole omaggiare proponendo al pubblico Luciano, film già all’epoca visto da pochissimi e praticamente sconosciuto alle giovani generazioni.
E sarà proprio lo stesso Gian Vittorio Baldi, che a dispetto dell’età mantiene uno sguardo giovane col quale guida il gruppo di ragazzi frequentanti la sua scuola cinematografica, a presentare Luciano (preceduto dai 12 minuti di Luciano, via dei cappellari, cortometraggio girato due anni prima nel 1960) domani, mercoledì 22 dicembre, alle ore 17.45 al Cinema Lumière. Coordina l’incontro il direttore della Cineteca, Gian Luca Farinelli.
Nel tentativo di raccogliere fondi per la realizzazione di Luciano, Baldi sottopose il copione a una commissione ecclesiastica che bocciò drasticamente il progetto, bollandolo come "assolutamente negativo dal punto di vista cristiano, morale ed umano". Le tormentate vicende del film e l’ostruzionismo da parte della distribuzione saranno raccontate domani al Lumière dalla viva voce del regista.

Gian Vittorio Baldi, nato a Bologna nel 1930, si trasferì a Roma per frequentare il Centro Speciale di Cinematografia. Esordì alla regia nel 1958 con Il pianto delle zitelle, vincendo il Leone d’Oro come miglior cortometraggio a Venezia. Di qui Baldi ha sviluppato la sua prospettiva cinematografica, specializzando il proprio sguardo sui temi più duri della realtà sociale. Baldi è stato pioniere di un nuovo cinema documentario italiano a partire dalla seconda metà degli anni ’50. Ha parlato di povertà, di emigrazione, di sofferenza. Ha raccontato la repressione alla Fiat negli anni Sessanta, quando la Rai non voleva farlo. Ha prodotto Porcile di Pasolini e L’amore coniugale, unico film della scrittrice Dacia Maraini, girato negli anni più intensi delle battaglie femministe.
Ha scritto il critico Patrick Leboutte: "I lavori di Baldi rappresentano il lato nascosto del Realismo italiano e rivelano una visione radicale del documentario, fortemente caratterizzata da una tensione sperimentale verso le immagini e i suoni".

Mercoledì 22 dicembre, ore 17.45, Cinema Lumière
LUCIANO, VIA DEI CAPPELLARI (Italia/1960) di Gian Vittorio Baldi (12’)
LUCIANO (Italia/1967) di Gian Vittorio Baldi (89’)
Ambienti degradati della periferia romana, dalle parti dei paesaggi pasoliniani degli anni Cinquanta. Senza speranza né indulgenza Baldi racconta di anime perdute, bruciate dalla vita. Il film ebbe varie traversie produttive e censorie (girato nel 1962, non uscì che 5 anni dopo) e fu distribuito anche come Madre ignota.
Copia proveniente da CSC – Cineteca Nazionale
Introduce Gian Vittorio Baldi. Coordina Gian Luca Farinelli

Scheda a cura di Roberto Chiesi:
"Luciano – Via dei Cappellari è una sorta di prologo a colori di quello che sarà il primo lungometraggio a soggetto di Baldi, che ha quasi lo stesso titolo, Luciano(1962). L’autore avrebbe voluto intitolarlo Madre ignota, alludendo con questo all’ossessione del protagonista, appunto la madre, figura assente dal film fino alle ultime sequenze ma onnipresente nei pensieri del giovane ladro.
Luciano è un film picaresco, quasi interamente notturno, dalla narrazione frammentaria ed episodica, segnata da deviazioni narrative, anche oniriche e da flashback. Il bianco e nero della fotografia di Ennio Guarnieri è cupamente contrastato. Il tempo è concentrato in quarantotto ore, racchiuso fra i momenti che precedono la scarcerazione del protagonista e la scena dell’arresto della madre, che lascia Luciano in uno stato di prostrata disperazione, con la Città Eterna sullo sfondo. Luciano vuole a tutti i costi ricongiungersi alla madre, che ha abbandonato la casa e il padre. Appena uscito di prigione, la notte di capodanno, non trovando la donna a casa, Luciano arriva a malmenare selvaggiamente il padre, per nulla trattenuto dalle implorazioni del genitore che lo supplica di fermarsi.
Da Regina Coeli alle camere scure e anguste dell’appartamento in via dei Cappellari, passando attraverso le vie e i vicoli di una Roma in balia dei festeggiamenti e dei petardi che scoppiano minacciosi ovunque, Luciano cerca subito di mettere insieme, disperatamente, i tasselli della sua famiglia impossibile: trova la moglie in uno scalcinato cinema nei paraggi di via dei Cappellari e la riporta a casa, quindi, dopo avere cacciato il padre e la sua amante, si mette ostinatamente alla ricerca della madre.
Le pause nel suo periplo coincidono talvolta con dei flashback, come quando, addormentatosi nel confessionale di una chiesa, sogna un episodio della sua adolescenza, trascorsa nel riformatorio. Più che al clima degli anni Cinquanta (siamo nel 1954), l'episodio sembra collocato nella Roma dei paparazzi (infatti uno dei ragazzi dichiara di volersi arricchire ricattando le coppie furtive che ha fotografato a loro insaputa). Mentre si trova in classe e assiste ad una lezione continuamente interrotta dai lazzi degli internati, viene convocato da padre Agostino, il prete responsabile dell'istituto. La 'chiamata' ispira le allusioni grevi degli altri ragazzi reclusi, che beffeggiano le tendenze pedofile del prete. L'incontro di Luciano e di padre Agostino è una delle sequenze più crude e audaci del cinema italiano degli anni Sessanta, un inatteso atto d'accusa contro l'ipocrisia delle istituzioni ecclesiastiche. Infatti Luciano, infastidito dal paternalismo del prete, reagisce accusando lui, i preti e le guardie del riformatorio, di stare sempre "co li occhi bassi, le mani molli" e di essere quindi "'na massa de depravati tutti, solo questo sete, solo 'na massa de depravati!" La reazione del prete, immediata e violenta (colpisce il giovane con un manrovescio), conferma quanto sia fondata l'accusa di Luciano e l'episodio si chiude su un abbraccio che sembra siglare un plagio vischioso.
In Luciano, l'itinerario del ladro incrocia ripetutamente figure di omosessuali – nella prima sequenza, in prigione, il giovane divide la cella con il 'barese' che aggredisce con violenza perché gli ha rinfacciato la condizione materna. In seguito, nel lungo vagabondaggio notturno per le borgate, incappa in un uomo accompagnato da un cagnolino, che lo invita ad entrare nella sua baracca per leggergli le carte. Quando gli consiglierà di tenersi alla larga da una figura femminile che è la causa della sua rovina, scatenerà la reazione immediata e violenta di Luciano che si allontanerà offendendo il suo ospite. Infine, addormentatosi nel confessionale dove si era rifugiato per dormire, Luciano sogna quell'episodio della sua adolescenza. Inoltre si può scorgere qualche ambiguità anche nel comportamento del ricco mantenuto, Lele (Paolo Carlini), nell'episodio in cui Luciano trascorre qualche ora in una casa agiata. Anche in quell'occasione, si inserisce una tacita compravendita sessuale: alla richiesta di denaro da parte di Luciano, Lele risponde offrendolo alla 'contessa', l'anziana padrona della casa che, con la scusa della pittura, concupisce i giovani che si offrono a farle da modelli.
Nel film, gli omosessuali hanno quindi sempre il carattere di antagonisti, come se Luciano si sentisse minacciato dalla loro presenza, stranamente ricorrente. Fra diversi ed emarginati, fra uno spostato come Luciano e gli omosessuali che incontra, non si stabilisce nessuna solidarietà, nessuna complicità, così come non si stabilisce con nessuna delle figure incrociate dall'uomo nel suo percorso. Rimane sottintesa l'attrattiva che suscita il giovane per quegli uomini che lo deridono, lo adescano o lo plagiano: come se Luciano, che pure si sottrae ad ogni contatto carnale (anche con la vecchia pittrice, con cui si verifica una sorta di variante del rapporto mercenario), fosse un oggetto sessuale passivo. L'unica sequenza dove assistiamo ad una sua iniziativa erotica, si verifica subito dopo avere cacciato il padre di casa: Luciano è preso da un raptus e ha un amplesso forsennato con la moglie nel corridoio. A quel punto, si apre una deviazione nel racconto, perché ecco inserirsi due sogni di Luciano, messi in scena dall'autore senza che nulla li differenzi dalle altre sequenze, come se non esistesse soluzione di continuità.
Ma gli antagonisti di Luciano sono soprattutto le figure paterne, contro cui egli si scaglia violentemente: il padre effettivo, padre Agostino (che afferma di volergli parlare "come un maestro, come un padre") e Michele, il magnaccia-camionista che ospita Nannina, ne è l'amante e la sfrutta. Luciano odia aspramente tutti e tre i suoi 'padri': il padre effettivo – che odia per il suo alcolismo e perché picchia la madre, il padre sostitutivo, incarnazione dell'autorità ecclesiastica (padre Agostino) e il padre che si rifiuta di esserlo, ossia Michele, scelto dalla madre come compagno e amante-padrone. Il comportamento di Luciano è analogo con il padre carnale e quello rivale, ossia violentemente aggressivo. L'odio per il padre è così acceso, che si manifesta anche nel sogno in cui immagina di trovarsi al capezzale della madre morta, composta nella bara. Nonostante il frangente luttuoso, appena vede il padre, gli avventa contro e lo malmena con violenza esasperata. La scoperta della baracca dove la madre convive con Michele, è ricca di ambiguità, perché i due uomini sembrano rivali, o meglio soltanto Luciano si comporta da rivale deluso, perché il magnaccia ne approfitta, invece, per denigrare la donna e umiliarla. Nella baracca, scoppia una breve lotta furiosa fra il camionista e il ladro, dove Luciano ha la meglio, ma per sentirsi dire, subito dopo, dalla madre - che ha un volto selvatico impressionante – che lei nutre ancora un forte desiderio sessuale e vuole vivere accanto a Michele. In un secondo scontro all'aria aperta fra Michele e Luciano, la situazione diviene ancora più degradata: messo in difficoltà dall'agilità del giovane, il magnaccia ricorre agli sputi ma senza riuscire a fermarlo.
Padre Agostino è l'unico 'falso' padre che abbia la meglio su Luciano: il giovane può soltanto attaccarlo verbalmente, gridargli contro e smascherarne l'ipocrisia. Il lungometraggio rivela cosa nascondeva quell'amara rassegnazione che covava nell'apatia del protagonista del cortometraggio e ha un tono sensibilmente diverso, più aspro e violento (per esempio, se nel cortometraggio Luciano aiutava un vagabondo ad afferrare il suo fiasco di vino, nel lungometraggio, invece, la vista di un tizzone acceso gli suggerisce l'azione sadica di avvicinare il fuoco ad un barbone addormentato, che si sveglia imprecando).
La dimensione onirica nel film non è circoscritta esclusivamente alle sequenze dei sogni: altri momenti oscillano in una strana ambiguità fra il reale e l'immaginario. Si pensi all'apparizione spettrale di un uomo, affacciato al balcone di una casa, che Luciano scorge mentre sta ritornando a casa dalla prigione. Quell'individuo, evidentemente un folle, sta scimmiottando Mussolini quando arringava la folla da Palazzo Venezia, come a suggerire che i fantasmi del passato non ancora così remoto, sono ancora ben presenti nella Roma dell'inizio degli anni Sessanta. Anche la sequenza in cui Luciano incappa nei fuochi accesi dalla gente della Borgata Gordiani per protesta, fuochi che conferiscono un'atmosfera allucinata, insinuando un clima fantastico e neo-espressionista".

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