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François Truffaut

9 agosto 2014

In attesa dell’uscita nelle sale italiane del restauro dei 400 colpi (annunciato per settembre dalla Cineteca di Bologna come primo titolo della seconda stagione di distribuzione dei classici restaurati con il progetto Il Cinema Ritrovato. Al cinema), Sotto le stelle del cinema dedica tre serate in Piazza Maggiore, tutte con inizio alle ore 21.45, a François Truffaut, del quale ricorre quest’anno il trentennale della morte, avvenuta il 21 ottobre 1984.

Primo appuntamento domenica 10 agosto con Fahreneit 451, tratto dal romanzo di Ray Bradbury nel 1966.
Lunedì 11 agosto, facciamo un salto di quasi quindici anni, per andare al 1980 di L’ultimo metrò (con Catherine Deneuve e Gérard Depardieu), seguito nel 1981 da La signora della porta accanto (dove ritroviamo Depardieu, questa volta al fianco di Fanny Ardant), che chiude il ciclo dedicato a Truffaut martedì 12 agosto.



Sotto le stelle del cinema – Truffaut

Domenica 10 agosto, ore 21.45, Piazza Maggiore
FAHRENHEIT 451 (GB/1966) di François Truffaut (112’)

L’invenzione è del romanziere Ray Bradbury, uno dei capofila della fantascienza americana. Riprendendo uno spunto di Orwell, e sposando una profezia di Apollinaire, per il quale fra un secolo o due il libro sarà morto, in Fahrenheit 451 egli immagina una società – non troppo spostata nel futuro, diciamo verso il 2050 – in cui la carta stampata è proibita. Convinti che i libri, polveriera di idee e di emozioni, sono una minaccia alla felicità collettiva assicurata dallo sviluppo tecnologico, i governanti ne hanno infatti vietati la stampa e il possesso. Preso il soggetto dal romanzo di Bradbury, il francese François Truffaut esordisce nel colore, sotto bandiera britannica, con un film molto più personale di quanto sembri, dove ironia e commozione sono fuse in un racconto di estrema semplicità dal quale è esclusa ogni pesantezza moralistica, a tutto vantaggio di uno spettacolo originale e divertente, usato come esorcismo contro gli spauracchi del futuro. Con molta intelligenza egli ha cominciato con l’ambientarlo in una città indeterminata ma in tutto simile alle nostre. Narrato con stile piano, oggettivo, dove realtà e fantasia si amalgamano con armoniosa scioltezza, Fahrenheit 451 ha un raro equilibrio fra dramma e commedia, e nell’ultima parte, quando bussa al cuore, si avvicina alla poesia.

Giovanni Grazzini

Il libro è soprattutto cumulo di memoria, e quindi di immaginazione; il fatto di essere momento tangibile di una eredità che non si può rifiutare trova in Fahrenheit 451 la sua celebrazione. Distruggere un libro è una perdita perché produce una cesura col tempo e quindi con la nostra capacità di ricordo produttivo. Gli uomini-libro che mantengono in vita una lettura fatta pensano al loro futuro; ha scritto in proposito Truffaut: “Il vero orrore è quello di un mondo in cui è proibito leggere,dunque è proibito conoscere, amare, ricordare. Nessuno ricorda nulla: il tempo di Fahrenheit è un eterno, drammatico, oppressivo presente; chi non ha un passato non può nemmeno avere un futuro”.

Giorgio Tinazzi

Ho sempre pensato che, anche se ampiamente venerato e ammirato, Truffaut fosse allo stesso tempo sottostimato, per quello che riguarda il suo cinema e il suo amore per il cinema. Era noto per essere un uomo di lettere, una persona estremamente appassionata di letteratura, e per questo era stato adottato dall’ambiente letterario. Ma in realtà il suo amore per la letteratura era distinto dal suo amore per il cinema. Penso che sia per questo che molte volte veniva sottostimato come artista essenzialmente visivo. Mi è piaciuto moltissimo lavorare con lui a Fahrenheit 451, che era un film da ‘leggere’ in termini di immagini. Ad esempio, voleva che non ci fosse alcuna scritta, e nella stazione dei vigili del fuoco non ce n’era nessuna. Era molto difficile escluderle. Era un’idea molto cinematografica: l’essenza del film. Sono sicuro che fosse questo ad attrarlo nella storia.
Ogni singolo pezzo nella costruzione del film era visivo.

Nicholas Roeg


Lunedì 11 agosto, ore 21.45, Piazza Maggiore
L’ULTIMO METRÒ (Franica/1980) di François Truffaut (131’)

Il grande successo che è toccato al film in Francia può essere spiegato con diversi motivi, tutti attendibili: la freschezza e la fluidità dell’intrigo romanzesco, la presenza di attori molto conosciuti, il fatto che il nome di Truffaut, dopo vent’anni di cinema, sia ormai entrato nelle orecchie dello spettatore medio. Ma anche, probabilmente, il fatto che la vicenda sia ambientata durante gli anni dell’occupazione tedesca Ecco dunque Truffaut (classe 1932) riandare con la fantasia insieme ai suoi sceneggiatori prediletti, e particolarmente a Suzanne Schiffman sua collaboratrice di fiducia, ad un periodo che egli ricorda bambino, e che evidentemente, su di lui, esercita la stessa fascinazione che su milioni di altri europei. Come vivevano, come si comportavano, che cosa facevano gli adulti, in quegli anni? La chiave che Truffaut ha deciso di utilizzare per aprire il forziere di tante memorie collettive è, significativamente, quella di un teatro. È perfino troppo facile dire che egli ha inteso qui descrivere le coulisses del teatro, così come aveva fatto in Effetto notte con quelle del cinema. Ma è indubbiamente vero che l’operazione risulta in qualche modo analoga, con una punta di maggior commozione retrospettiva e di più approfondita intenzione autoanalitica. Si avverte di continuo nel film il piacere di girare e il gusto di condurre a buon fine un’operazione duplice: di memoria inventata e di memoria reale. Tutto questo clima, ormai lontano, ambiguo e nebbioso, rivive nel film grazie ad un meccanismo prodigiosamente perfetto filtrato dalla fotografia di Nestor Almendros come attraverso una immensa lente rovesciata verso il passato. Un passato che ci restituisce tutto il Truffaut che abbiamo amato e che amiamo, amichevole, sottile, elegante e dolcemente malinconico.

Claudio G. Fava

L’ultimo metrò è un grande film d’amore. Un amore sommerso, dissimulato, quasi impercettibile quanto reso pubblico, febbrile, convulso era l’amore in Adele H. Pochi sguardi curiosi e occasionali di Marion Steiner. Un bacio improvviso dietro il sipario la sera della prima. Lo schiaffo apparentemente immotivato all’annuncio che Bernard vuole entrare nella Resistenza. La strategia del discorso amoroso è condotta da Marion e Bernard è il tipico uomo truffautiano che ama le donne (Arlette, Nadine, Martina) e inventa e ripete per ognuna battute sempre identiche. Bernard è affascinato non più del necessario dalla parte del seduttore. L’amore come su un palcoscenico: finzione-realtà, vero-non vero, ruoli e personaggi. Il fatto che la passione fredda tra Bernard e Marion sia doppiamente circoscritta dal teatro come struttura topografica e come ‘mondo’ regolato da riti, convenzioni subordinate al palcoscenico e al rapporto con la platea moltiplica gli effetti della finzione. Truffaut è convinto che il cinema sia un laboratorio dove è possibile riprodurre non la vita, ma l’economia dei rapporti umani, la logica dei sentimenti, le regole che rendono possibile la vita stessa: un laboratorio, quindi, non ideologico o politico, ma etico.

Enrico Magrelli


Martedì 12 agosto, ore 21.45, Piazza Maggiore
LA SIGNORA DELLA PORTA ACCANTO (Franica/1981) di François Truffaut (106’)

Vent’anni dopo Jules e Jim, il ventesimo lungometraggio di Truffaut La signora della porta accanto (in realtà della ‘casa’ accanto, ma non drammatizziamo) è, nel 1981, il suo penultimo film e il suo ultimo d’amour fou. Nel frattempo c’erano stati altri incontri con la passione ‘eccessiva’, totale, come La mia droga si chiama Julie e Adèle H. Non c’è dubbio però che La signora della porta acccanto sia di tutti il più radicale, quello dove il desiderio è più violento ed estremo, sottoposto al binomio Eros-Thanatos che procede rettilineo, stringendo gli amanti in una morsa che li distrugge. “L’amore è una guerra” aveva scritto Jacques Rivière nel romanzo Aimée. All’epoca del film Truffaut gli faceva eco: “In amore ci si scambiano spesso colpi d’una violenza terribile... Se dovessi rifare oggi Jules e Jim, non sarei più così idillico”. Autore anche del testo con Suzanne Schiffman e Jean Aurel, il regista non sbanda nel melodramma come altri meno avvertiti di lui. Si mantiene invece a debita distanza grazie al personaggio d’una narratrice-confidente, madame Jouve, che introduce la vicenda e, sapendo evidentemente il latino, la sigilla col lamento ovidiano «Né con te né senza di te» (nec sine te nec tecum – vivere possum). Al tema che occupa così gran parte della sua produzione, Truffaut si riaccosta da un’angolazione inedita. Non già, per stare ai latini, l’Omnia vincit Amor che, tutto sommato, usciva dal confronto spietato tra i due protagonisti in La mia droga si chiama Julie. Bensì il ‘mal d’amore’ all’ennesima potenza, che non dà scampo alla coppia che ne è prigioniera. Se l’autore si ripete, se batte e ribatte lo stesso ossessivo tasto, lo fa aggiungendo sempre nuove variazioni musicali. La rinnovata intensità sta a riprova della ricchezza del suo mondo interiore e della serietà di quella ossessione. Rispetto ai film precedenti, la novità di base è che qui si tratta d’una passione ‘di ritorno’. Bernard e Mathilde si sono già incontrati e scontrati, posseduti e sbranati otto anni prima. Il loro rapporto insano – lo riconoscerà Bernard parlando finalmente alla moglie – è già stato ‘deleterio’ per lui e per l’amante. Non per la diversità, ma per l’uguale instabilità dei caratteri. Ora, che si possa rivivere la stessa esperienza è un’illusione che conduce a un esito tragico. Chi non ha alcun dubbio al riguardo è proprio l’autore, come non ne aveva, per altre ragioni, il ‘suo’ Hitchcock in La donna che visse due volte.

Ugo Casiraghi

Mettere di fronte un uomo e una donna che si sono già amati nel passato è un tema che ho in testa da molti anni e sul quale prendevo degli appunti. Semplicemente, mi occorreva trovare la coppia ideale... Quando alla serata dei César del 1980 ebbi occasione di vedere, fianco a fianco, Fanny Ardant e Gérard Depardieu, ebbi la sensazione che cinematograficamente quella fosse una bella coppia, due figure alte, il biondo e la bruna, un uomo apparentemente semplice ma complicato, una donna apparentemente complicata ma semplice come un arrivederci. L’idea di La signora della porta accanto era nata e si faceva strada: si annunciava un nuovo film.

François Truffaut

 

Sotto le stelle del Cinema
20 giugno – 14 agosto
Piazza Maggiore

Sotto le stelle del Cinema è promosso dalla Cineteca di Bologna nell’ambito di bè bolognaestate 2014


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