Peter Sellers
25 luglio 2014
L’incontrollabile attore indiano di Hollywood Party o l’ispettore Clouseau della saga della Pantera rosa sono solo due delle infinite maschere cui Peter Seller ha saputo dar corpo in una carriera costellata di invenzioni.
Lo abbiamo scoperto giovanissimo al Cinema Ritrovato (i cui tre inediti cortometraggi giovanili, scritti da Mordecai Richler, hanno segnato uno dei momenti più indimenticabili della XXVIII edizione del festival) e ora lo ritroviamo protagonista di quattro serate (sempre alle ore 21.45 in Piazza Maggiore) nel cartellone di Sotto le stelle del cinema, che la Cineteca di Bologna promuove nell’ambito di bè bolognaestate.
Quattro titoli che ne ripercorrono la filmografia fin dai primissimi passi, quelli che lo vedono in La signora omicidi, diretto da Alexander Mackendrick nel 1955, e che aprirà il ciclo dedicato a Peter Sellers domani, sabato 26 luglio.
Troviamo l’ispettore Clouseau domenica 27 luglio, diretto dalla mano di Blake Edwards in Uno sparo nel buio (1964), secondo capitolo della serie La pantera rosa, dove al fianco di Peter Sellers compaiono per la prima volta il suo acerrimo nemico Charles Dreyfus e il servo, maestro d’arti marziali, Cato Fong.
Lunedì 28 luglio, Hal Ashby ci porta Oltre il giardino (1979), mentre (dopo una serata, quella di martedì 29 luglio, dedicata a un altro grande inglese, Ken Loach, del quale vedremo The Spirit of ’45) mercoledì 30 luglio il ciclo dedicato a Peter Sellers si chiuderà con i fuochi d’artificio di Hollywood Party, il cult diretto di nuovo da Blake Edwards nel 1968.
Parallelamente proseguono gli approfondimenti culturali di Sotto le stelle del cinema, dedicati a Bologna e alla sua storia.
Dopo le lezioni di Eugenio Riccomini, la parola passa ora ad Angelo Varni, presidente dell’Istituto per i Beni culturali della Regione Emilia-Romagna, e Fabrizio Binacchi, direttore della sede RAI dell’Emilia-Romagna, i quali introdurranno per quattro serate, da sabato 26 a martedì 29 luglio, con inizio sempre alle ore 21.20, alcuni filmati prodotti dalla RAI nei primi anni Ottanta e recuperati dall’IBC.
Ecco il calendario del ciclo Voci e immagini di Bologna com’era:
- sabato 26 luglio
E punto R Bologna (1982)
Un programma di Giorgio Celli
Conversazione tra Renato Zangheri e Giorgio Celli
Produzione Rai Emilia-Romagna
- domenica 27 luglio
Una strada racconta il futuro (1980)
Regia Vittorio Lusvardi
Produzione Rai Emilia-Romagna.
- lunedì 28 luglio
Bologna: allegro vivace / passato presente (1983) di Gianfranco Mingozzi
La canzone a Bologna
- martedì 29 luglio
Bologna: allegro vivace / passato presente (1983) di Gianfranco Mingozzi
Il piacere a Bologna
Sotto le stelle del cinema – Peter Sellers
Sabato 26 luglio, ore 21.45, Piazza Maggiore
LA SIGNORA OMICIDI (GB/1955) di Alexander Mackendrick (97’)
Peter Sellers è stato “cattivo” fin dagli esordi. La sua prima parte importante, quella che lo mette a diretto contatto con il suo idolo, Alec Guiness (e, per inciso, con quello che anni dopo diventerà il suo antagonista per eccellenza, Herbert Lom), è quella di Harry, il teddy boy della banda del diabolico professor Marcus, in La signora omicidi, capolavoro perfido di Alexander Mackendrick e ultimo vero guizzo della Ealing. Harry probabilmente è solo un ragazzone grasso nascosto dietro la sua aria da bullo; proprio come Leslie Quill, il vecchio proiezionista di La pazza eredità di Basil Dearden, è un brav’uomo con l’unico vizio del bere. Eppure è vero, come molti hanno sottolineato, che in fondo agli occhi tondi del Sellers appena trentenne e rassicurantemente grasso, c’è già un bagliore, che oscilla a richiesta dalla dabbenaggine stizzosa alla follia pericolosa. La signora omicidi è l’ultima grande commedia della Ealing e, tra tutte, è quella che ha conservato la maggiore popolarità; è anche l’ultima punta di quello che è stato considerato il più originale e inimitabile prodotto del cinema inglese. Gli studi Ealing, fondati nel 1907, vissero il periodo di maggiore splendore tra il 1938 e il 1958 sotto la direzione di Michael Balcon che, con l’assistenza artistica di Alberto Cavalcanti, fece maturare una squadra di giovani autori (da Basil Dearden a Charles Crichton a Carol Reed), sceneggiatori, montatori, direttori della fotografia, assecondandone anche le tendenze centrifughe rispetto all'impegno morale e patriottico del periodo bellico. Inaugurate da Passaporto per Pimlico di Henry Cornelius nel 1949, e culminate con Kind Hearts and Coronets di Robert Hamer, le commedie Ealing pullulavano di personaggi eccentrici, inventori misogini, timidi impiegati, signore bizzarre, scozzesi roboanti, in pratica di una piccolissima borghesia solidamente attaccata alle tradizioni del paese che guardava con uguale fastidio le imposizioni della burocrazia e l’aggressività del nuovo capitalismo. Nel 1955, la forza autoctona del “popolo della Ealing” era già appannata, i suoi caratteri cominciavano a essere inghiottiti dalla modernizzazione culturale e sociale. Letto in questo contesto, La signora omicidi può essere interpretato come il canto del cigno delle Ealing Comedies: tinto di humour nero, come erano spesso stati i film precedenti, meticolosamente ambientato in un vero quartiere londinese (quello intorno alla stazione di St. Pancras), pronto a farsi beffe dell’autorità (amichevolmente, com’erano tradizionalmente amichevoli i poliziotti di quartiere), interpretato da soli eccentrici, pare sottilmente, sotterraneamente consapevole del proprio anacronismo. Alexander Mackendrick era un autore intelligente e personale, sensibile, nelle commedie come nei film drammatici, all’insofferenza del singolo rispetto alla violenza dell’ambiente. I cinque criminali, che mette in scena con acuta precisione fisionomica e comportamentale, gli sono simpatici: il professor Marcus di Guinness è un prototipo di ambivalenza dickensiana; il maggiore e il forzuto One-Round sono due poveracci a due diversi gradi di ingenua stupidità; il rockabilly del giovane Peter Sellers è poco di più di un ragazzaccio, e persino il gangster Louis, per quanto faccia il duro, non ha il cuore di sopprimere la vecchietta.
Emanuela Martini
Domenica 27 luglio, ore 21.45, Piazza Maggiore
UNO SPARO NEL BUIO (USA/1964) di Blake Edwards (102’)
La situazione di base della serie consiste nel lanciare il detective più incapace e maldestro del mondo all’inseguimento del ladro più astuto. Ma attenzione: la goffaggine di Clouseau è anche la sua fortuna e il suo genio: gli permette di sopravvivere a tutti i tranelli e a tutti i passi falsi; è la prova tangibile che questo idiota si sente perfettamente a proprio agio e del tutto adeguato al mondo esterno. A partire dalla sua seconda apparizione in Uno sparo nel buio, film talentuoso quanto il precedente, La pantera rosa, Clouseau diviene definitivamente il personaggio principale, mentre fa la sua comparsa il suo superiore, l’ispettore-capo Charles Dreyfus, che sarà interpretato da Herbert Lom in tutti i film della serie. Odiando la goffaggine di Clouseau, è ancora più maldestro di lui, ma nel suo caso la goffaggine (decuplicata alla vista di quella di Clouseau) lo rende veramente folle e mette in pericolo la sua vita. Il suo principale desiderio è uccidere Clouseau ma non riesce mai a realizzarlo. Il confronto tra questi due incapaci, uno felice e in forma, l’altro infelice e pazzo, sarà fonte di ironia in tutta la serie. La complessità e l’eleganza visiva di Uno sparo nel buio superano forse quelli di La pantera rosa. Si noti che Clouseau non figurava nemmeno nel progetto iniziale che doveva essere diretto da Anatole Litvak. Fu aggiunto da Edwards, che lo impose come conditio sine qua non per riprendere in mano il progetto.
Jacques Lourcelles
C’è molto di Stanlio e Ollio in Clouseau. Sellers ed io pensiamo che Stan Laurel sia il più grande comico di sempre. Con Peter ho vissuto alcuni dei momenti migliori e alcuni dei momenti peggiori della mia vita... Avete presente Luci della città quando Chaplin fa amicizia con un milionario ubriaco che al risveglio, al mattino, lo caccia di casa non ricordandosi nulla della notte precedente? Con Peter era un po’ la stessa cosa... Molte delle mie esperienze con lui sono state eccellenti. Di solito era abbastanza prevedibile: quando le cose gli andavano male, quando era senza soldi, quando i suoi ultimi film erano stati un insuccesso, quando aveva perso un paio di possibili mogli e stava morendo di fame (in tutti i sensi), allora era semplicemente meraviglioso. È successo così con le nostre prime pellicole. Rideva e aveva molte idee straordinarie e il film, una volta finito, sarebbe stato un successo. Sapete, aveva un senso dell’umorismo molto particolare. Io posso ridere di me stesso e certamente posso ridere delle cose che capitano agli altri. Sellers, invece, rideva del personaggio che stava interpretando, proprio nel bel mezzo di una scena. Diceva qualcosa di veramente schizofrenico, tipo: “Ma pensa che cretino! Guarda cosa sta facendo questa razza di scemo!”. Tutto questo mi divertiva molto. Era il suo genio e la sua idiozia.
Blake Edwards
Lunedì 28 luglio, ore 21.45, Piazza Maggiore
OLTRE IL GIARDINO (USA-Giappone/1979) di Hal Ashby (130’)
Esistono dei film che nascono bene, che hanno l’aria di scorrere da soli, di fluire dalla macchina da proiezione con il garbo privo di ostentazioni proprio di un avvenimento naturale (spesso non sapremo mai di quali fatiche, di quali esitazioni, di quali dubbi essi sono stati afflitti ed affetti dal primo all’ultimo giorno; e ne conserveremo sempre quel sapor di naturale felicità che abbiamo colto, o creduto di cogliere, sin da quando la prima inquadratura è sgocciolata sotto i nostri occhi sul telone di un cinema). Uno di questi film è fuori di dubbio Oltre il giardino. È noto ormai il tema del racconto, che osò sembrare così paradigmatico da rischiare il paradosso. In una ricca, isolata villa di una grande città americana vive un giardiniere ormai anziano, allevato da sempre da una cameriera di colore, protetto dal padrone di casa, che gli è forse padre, e che lo ha fatto sempre vestire, vivere, vegetare, come una sorta di pulito e cortese vegetale umano. Il giardiniere si chiama Chance (che suona in inglese, come in francese, con il significato di ‘possibilità’, di ‘fortunata combinazione’), non ha cognome, non ha neppure una precisa identità (né documenti, né stato civile, né nulla di nulla; è un’ombra ben vestita e bene educata) ed in più è completamente idiota. Il suo cervello è, come dire, pronto ma atrofizzato. Della vita conosce il giardino della villa – ha imparato a curarlo, a potarlo, ad intrattenerlo, con la devozione frigida di un ‘robot’ – e la televisione. Ashby e Kosinski non hanno compiuto, di fatto, nessun errore. Il paradosso è retto dall’inizio alla fine con una mescolanza calibrata di astuzia iconografica e controllatissima drammaturgia.
Claudio G. Fava
Di Sellers si può dire qualunque cosa, ma certo non che rappresentasse uno specifico carattere e anzi ho sempre trovato molto eloquente e rivelatore lo straordinario esito professionale del comico inglese in un film come Oltre il giardino, nel quale Sellers incontra finalmente la parte della sua vita (nel senso di perfettamente coincidente con l’invisibile immagine della sua vita), quella di una personalità che non esiste, di un personaggio che non ha storia, non ha cultura, non ha radici di alcun tipo, e che si presenta – letteralmente – emergendo dal nulla (ciò che l’autore del romanzo da cui è tratta la pellicola, Jerzy Kosinski, aveva perfettamente capito “Peter Sellers is Chance”, aveva detto). In questo senso Oltre il giardino è senza alcun dubbio il film finale della carriera dell’attore; e lo è non solo simbolicamente, dal momento che, com’è noto, la sua ultima fatica cronologica, la pellicola su Fu Manchu (Il diabolico complotto del Dr. Fu Manchu, 1980) non riuscì a finirla. Sellers aveva infatti compiuto il suo tragitto verso la propria realizzazione come attore. Solo che, al contrario di quel che accade di solito, egli non si era perfettamente identificato in un personaggio che era la sommatoria di tutti i precedenti,ma aveva trovato la perfezione eliminando via via qualcosa di questi ultimi sino ad attingere al puro nulla, alla cancellazione totale e assoluta della personalità.
Franco La Polla
Mercoledì 30 luglio, ore 21.45, Piazza Maggiore
HOLLYWOOD PARTY (USA/1968) di Blake Edwards (98’)
Hollywood Party dispensa una raffica di gag che possono agevolmente comparire ai vertici di un’ideale antologia del cinema comico di tutti i tempi, a dispetto dell’insuccesso che lo accolse all’uscita. Ecco per esempio Peter Sellers osservare un quadro comandi tempestato di tasti misteriosi e non resistere alla tentazione di azionarne qualcuno, imprimendo alla festa fino ad allora perfetta i primi segni di un disfacimento inesorabile. Perché un indostano invitato per sbaglio, che più di tutto tiene a fare bella figura, deve sentire un bisogno tanto impellente quanto rischioso? Si accavallano in questo gesto curiosità, incoscienza, goffaggine, sottile spirito anarchico, candore infantile, passione per il gioco: gli ingredienti ben assortiti di una miscela che scorre lungo tutto il film. Aggiungiamovi anche il gusto per l’improvvisazione, quella che prende impulso da una prova eseguita per vedere cosa succede se… Questa è anche la scommessa poetica da cui Hollywood Party prende le mosse, con appena un canovaccio di qualche paginetta pronto prima delle riprese, da portare sul set per vedere come reagisce agli estri d’attore e alle sollecitazioni del qui e ora. È sorprendente verificare come un film tanto improvvisato prenda infine le forme di un congegno perfettamente compatto, dove le tantissime cose che succedono trovano il loro posto nell’insieme con invidiabile puntualità, riempiendo lo schermo in primo piano e su uno sfondo che l’occhio dello spettatore può sempre esplorare con profitto. Il primo passo di Peter Sellers nella villa festante è già un tassello carico di presagi, il primo ingranaggio di una gigantesca ruota della sfortuna che girerà fino ad aprire le cateratte: sulle sue scarpe bianche fa sfoggio di sé una macchia di bitume, in cui si addensano il disagio del personaggio e, forse, la sua vocazione allo sberleffo. Dopo essersi guardato la scarpa insozzata, Sellers immerge la propria cravatta nella piscina, altro segno squisitamente anticipatore di un bagno che infine coinvolgerà tutti i convitati e in cui sguazzeranno ilari solo i puri di spirito, in un girotondo nella schiuma che a qualcuno è parso un omaggio alla battaglia tra le piume dei cuscini in Zéro de conduite. Il film si è ben prestato a varie letture socio-politiche, che insistono sulla riscossa dell’umile, semplice, disadattato, diverso, straniero. Certo, una rivoluzione in chiave soft che si conclude a bolle di sapone, e dove il segno più concreto del Sessantotto lo troviamo scritto a tempera sulla pelle dell’elefantino. In quanto focolare privilegiato dell’imbarazzo e vettore che innesca la ‘rivolta’, Sellers è costantemente sotto la lente dell’obiettivo, affrontata con una prova maiuscola che sposa cartoonismo e umanità. Eppure Hollywood Party è un film corale, dove nessuno fa da tappezzeria: su tutti il padrone di casa J. Edward McKinley, etichettato come artefice dello slow burn più lento del cinema comico; e l’etilico cameriere Steve Franken, che per molti versi rispecchia la tragedia e il trionfo dell’ospite indostano.
Andrea Meneghelli
Sotto le stelle del Cinema
20 giugno – 14 agosto
Piazza Maggiore
Sotto le stelle del Cinema è promosso dalla Cineteca di Bologna nell’ambito di bè bolognaestate 2014
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