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Musical!

16 luglio 2014

Quattro serate, da giovedì 17 a domenica 20 luglio (sempre alle ore 21.45), per ballare sulle note del musical in Piazza Maggiore, nell’ambito della manifestazione Sotto le stelle del cinema.

Ecco il programma che la Cineteca di Bologna ha realizzato, in occasione della seconda edizione di A Summer Musical Festival, promosso da The Bernstein School of Musical Theter:

- giovedì 17 luglio, Les Parapluies de Cherbourg di Jacques Demy con Catherine Deneuve;
- venerdì 18 luglio, Cabaret di Bob Fosse, con Liza Minnelli;
- sabato 19 luglio, torna Bollywood, sulla scia dei successi gli scorsi anni: in programma Il coraggioso prenderà la sposa di Aditya Chopra;
- domenica 20 luglio, il tocco di Vincente Minnelli e il suo Spettacolo di varietà.



Sotto le stelle del cinema – Musical!


Giovedì 17 luglio, ore 21.45, Piazza Maggiore
LES PARAPLUIES DE CHERBOURG (Francia/1964) di Jacques Demy (91’)

L’idea del film-opera costituì la vera ossessione di Demy, che, nel corso della sua carriera, riuscì a realizzarne due: Les Parapluies de Cherbourg e Une chambre en ville (1982), mentre Les Demoiselles de Rochefort (1967) costituisce piuttosto un omaggio al musical americano. Uno sguardo sul mondo filtrato dall’armonia è probabilmente la chiave per entrare nell’universo tenero e insolito di Jacquot di Nantes. Da questo punto di vista Les Parapluies de Cherbourg risulta il suo film più emblematico e compiuto. La storia struggente e delicata di Guy e Geneviève è la storia di un sogno che svanisce per ragioni indipendenti dalla volontà di ciascuno, perché la vita è una progressiva sottrazione, si finisce sempre per perdere. Non c’è tragedia in questo: la storia non procede per lacerazioni, pianti, grida, o gesti eroici, ma lentamente, quasi dolcemente, in una consunzione impercettibile ma letale. La rigorosa scansione del film in segmenti temporali precisi – molto più dettagliati di quanto riportato nella trama – costituisce proprio il tentativo di cogliere la storia in flagrante, nel momento stesso in cui opera contro la vita. Solo l’arte, o l’artificio, solo l’assoluta innaturalità, rende accettabile il lavoro devastante della storia. Questo è il senso del film-opera, della parola cantata, qui spesso con esiti straordinari grazie alla musica di Michel Legrand; ed è anche il senso dei colori con cui è fotografata, alterata, modificata, esaltata la cittadina di Cherbourg, che diviene volta a volta un décor, uno stato d’animo, una quinta, un set cinematografico.

Sandro Toni

Ho sempre amato la musica e la pittura e nel cinema mi sforzo di mettere entrambi. Ho provato a creare uno spettacolo usando questi elementi e a raccontare delle storie con il colore, la musica, la poesia e anche con le coreografie e i balletti. Contrariamente a quanto accade all’opera, volevo che le parole fossero sempre comprensibili. All’opera spesso la voce è portata talmente in alto o in basso da non comprendere più il senso del testo. E questo al cinema mi sembrava al contempo un rischio e un peccato. In un primo tempo avevo pensato a Sylvie Vartan e Johnny Hallyday, ma loro hanno rifiutato. D’altra parte Michel Legrand era assai esigente per quanto riguardava la musica. Voleva che il cantato fosse perfetto. Ma il cinema è l’arte del trucco, l’immagine è da una parte, il suono dall’altra, e poi li si mette insieme. Allora ho pensato che si poteva tranquillamente imbrogliare. Si poteva avere l’immagine di una e la voce di un’altra. Come si fa nel doppiaggio. Avere la perfezione, il viso più bello e la voce migliore. Bisogna ascoltare questa musica con un orecchio teso verso il sogno e guardare il film con un occhio incollato alla finestra della realtà.

Jacques Demy


Venerdì 18 luglio, ore 21.45, Piazza Maggiore
CABARET (USA/1972) di Bob Fosse (124’)

Oggi, a più di trent’anni di distanza dalla sua prima apparizione, possiamo comprendere meglio il senso più profondo di Cabaret, un film che ha fortemente anticipato certi temi un poco nascosti nel dibattito su Hitler, Weimar, il primo nazismo. Nell’anima tedesca che si manifesta a Weimar ci sono due entità solide e compatte, rese da Fosse con sorprendente rigore. C’è il cabaret, fortilizio liberale e libertino, hortus conclusus di una libido che si rende sociale e politica perché contiene tutto il sapore della sperimentazione weimariana. Il cabaret è una realtà separata, lì non solo si gremisce il palcoscenico di corpi alternativi nei confronti di una realtà tedesca, gotica, protestante, puritana, calvinista, ma si offrono autentiche innovazioni fondate sull’eros e sul gioco.
L’altro fortilizio è una serena trattoria di campagna, resa dolcissima da un sole complice, lontanissima da Otto Dix e dai suoi torvi emblemi, erede diretta, invece, della placida compattezza sorniona dello stile Biedermeier. Forse, l’onestà ideologica di Fosse, e la sua capacità di resa poetica, gli hanno consentito di creare una diagnosi politica fondandosi su una sintesi iconografica. E nasce, proprio dall’inequivocabile contrapporsi dei due fortini, una domanda: poteva salvarsi Weimar? Oppure le cupe esibizioni cabarettistiche, pure intrise di intelligenza, sapore, coraggio, piacere dovevano comunque cedere nei confronti del sole Biedermeier della trattoria?
Cabaret è un film che prende seriamente posizione, pur fra tanta allusiva eleganza, pur nell’eros liberato e onnipresente. Il film sembra dire che Weimar fu un esperimento lucido e creativo, fu un crogiolo che rise in faccia al demonio, fondando le proprie speranze sull’invenzione. Poi, però, prevalsero le cupe sperimentazioni demoniache del Doktor Faustus, ma Fosse ha il coraggio di contrapporre la festosa libido dei suoi giovani a quegli alambicchi infernali.

Antonio Faeti

Non si tratta di un musical tradizionale. Parte del suo successo deriva dal non cadere nel vecchio cliché del musical che deve far divertire lo spettatore. Invece di svilire la versione cinematografica alleggerendo il suo carico di disperazione, Bob Fosse è andato dritto al cuore oscuro della materia e vi è rimasto a sufficienza da guadagnarsi un Oscar come miglior regista. La storia ruota attorno a una delle più famose invenzioni letterarie del secolo, Sally Bowles, portata magnificamente sullo schermo da Liza Minnelli, premiata con l’Oscar per l’interpretazione. Sally è coinvolta in un triangolo amoroso con un giovane insegnante d’inglese (Michael York) e un barone (Helmut Griem), e non importa che questo triangolo non fosse presente nella versione teatrale: aiuta a delineare l’atmosfera di anarchia morale del film, ed è rimarcato dalla disperazione allo stato puro del cabaret. Qui i festeggiamenti sono condotti da un maestro di cerimonie (Joel Grey, in una performance che gli valse l’Oscar come miglior attore non protagonista) la cui determinazione nel far proseguire la festa, a qualunque costo, ha un’ossessività struggente. Quando la canzone Cabaret si conclude, comprendiamo per la prima volta che si non si tratta di un motivo felice ma disperato. Il contesto fa la differenza. Allo stesso modo, il contesto della Germania alla vigilia dell’ascesa al potere del nazismo rende l’intero musical un indimenticabile grido di disperazione.

Roger Ebert


Sabato 19 luglio, ore 21.45, Piazza Maggiore
DDLJ – IL CORAGGIOSO PRENDERÀ LA SPOSA (India/1995) di Anapuma Chopra (190’)

Dilwale Dulhania Le Jayenge (in italiano Il coraggioso prenderà la sposa) , universalmente noto come DDLJ, è stato accolto da una straordinaria acclamazione popolare in India nel 1995, con gli spettatori che ritornavano a vederlo più e più volte. Diretto dal’esordiente Aditya Chopra, è stato il film con una più lunga tenitura in sala della storia del cinema indiano, cambiando la faccia di Bollywood. DDLJ fu uno dei primi film Hindi contemporanei a concentrarsi sugli indiani residenti all’estero (in questo caso, Londra). È un cocktail inebriante di location europee, automobili vistose, splendide magioni e le cordiali e rustiche tradizioni del Punjab. DDLJ ha conosciuto diverse imitazioni e incarna lo spirito del cinema popolare indiano contemporaneo. Ma è un film soprendente nel sostenere gli antichi valori della castità prematrimoniale e l’autorità della famiglia, affermando l’idea che l’occidentalizzazione non deve insidiare i valori essenziali dell’identità indiana. DDLJ è ben lontano dal lavoro della più vecchia generazione di cineasti che spesso si schierò contro l’oppressività della tradizione, proponendo alternative radicali. Se gli innamorati della precedente generazione potevano sfuggire da famiglie opprimenti, gli innamorati di DDLJ hanno bisogno dell’approvazione dei loro genitori. DDLJ è un musical romantico, cosa che di per sé non lo distingue dalle centinaia di film sfornati in India. L’India è il paese al mondo in cui si producono in assoluto più film, circa 800 all’anno. Di questi, una buona parte (oltre 200) vengono da Mumbai. L’industria cinematografica di Bombay – o Bollywood come come è universalmente nota – è il centro del cinema Hindi. Bollywood è in grando di realizzare un vasto range di prodotti che variano dal kolossal a grande budget infarcito di star, a film di serie C low-cost realizzati in dieci-quindici giorni. In ogni momento oltre 250 film sono in lavorazione e praticamente tutti sono storie d’amore e musical. Sono queste le regole auree del cinema di Bollywood. A prescindere dal fatto che un film sia un action thriller, un film epico di guerra, un teen movie romantico o un horror, i personaggi si innamoreranno e finiranno per cantare. Un film Hindi senza canzoni è automaticamente classificato come film d’essai, e quindi un suicidio per il box-office. Le canzoni dei film, che sono cantate e suonate nei matrimoni, nei festival, nelle feste e nei locali notturni, sono inni nazionali. Possono spesso fare la differenza fra un successo e un flop al botteghino.

Anapuma Chopra




Domenica 20 luglio, ore 21.45, Piazza Maggiore
SPETTACOLO DI VARIETÀ (USA/1953) di Vincente Minnelli (111’)

Spettacolo di varietà ha per tema principale il valore assoluto dell’arte – di qualsiasi arte – e nel contempo la necessità di riconoscere ai singoli ambiti d’operazione artistica la loro autonomia e i loro specifici confini rispetto agli altri. La prima parte di questo assunto è ben manifestata dalla canzone guida That’s Entertainment che suona come una dichiarazione di poetica da parte del regista: “Tutto quel che accade nella vita può accadere in uno spettacolo. Tu li fai ridere, tu li fai piangere, qualunque cosa può andar bene”. È importante notare che il tema principale del film si sviluppa avendo sullo sfondo un altro tipico tema del musical di sempre, quello dell’allestimento di uno spettacolo e del suo corollario: lo spettacolo deve continuare (The show must go on). Si tratta di un tòpos che percorre il genere sin dai suoi inizi (ad esempio nei primi musical di Berkeley degli anni Trenta) e che Minnelli qui riprende non tanto per seguire la tradizione, ma, in certo modo, per concluderla. Mentre infatti in passato questo luogo retorico era stato impiegato con intenti drammatici (sia pure nell’atmosfera leggera tipica del genere) per impostare lo sviluppo della storia, qui esso si giustifica primariamente come occasione di riflessione sull’arte della messa in scena, complicata da un’ulteriore componente tematica, quella relativa alla storia personale del protagonista, evidentemente emblematico di un’epoca del musical che è ormai trascorsa e finita. Bastano questi brevi cenni per comprendere come Spettacolo di varietà, pur nella sua gaiezza, sia un’opera crepuscolare che intreccia biografia personale (quella di Tony Hunter) e mutamenti di gusto, riflessione sulle arti di performance (e non solo quelle) e tecnica della messa in scena. Come molti musical Spettacolo di varietà si sviluppa su due piani, quello mimetico della vita reale e quello della messa in scena spettacolare. In altre parole, da un lato assistiamo alla vicenda abbastanza verosimile delle vicissitudini di una troupe teatrale e dall’altro osserviamo alcuni dei numeri musicali messi in scena dallo spettacolo. In realtà i numeri musicali della pellicola si dividono in due tipi in relazione alla loro natura e alla loro funzione. In particolare, quattro di essi (By Myself, Shine on Your Shoes, That’s Entertainment, Dancing in the Dark) non fanno parte del programma dello spettacolo, ma, per così dire, ‘musicalizzano’ la realtà della storia narrata. Anche in questo senso Spettacolo di varietà si presenta come un’opera riassuntiva delle due grandi linee programmatiche del genere musicale, quella della semplice ripresa della messa in scena e quella della realtà come messa in scena musicale. Naturalmente la pellicola di Minnelli non è l’unica nella storia del musical a presentare un accostamento di questo tipo. Essa però si pone in un momento particolare nella storia del musical che già rende emblematico tale accostamento, e in più tratta di una storia di mutamento nello stile e nel gusto della performance che lascia intendere bene quanto il genere sia ormai arrivato a un giro di boa che nella fattispecie assume più che altro le forme di un tramonto.

Franco La Polla

 

Sotto le stelle del Cinema
20 giugno – 14 agosto
Piazza Maggiore

Sotto le stelle del Cinema è promosso dalla Cineteca di Bologna nell’ambito di bè bolognaestate 2014


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(+39) 0512194833
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