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Jack Nicholson

19 luglio 2013

Quattro film in Piazza Maggiore con Jack Nicholson per il cartellone di Sotto le stelle del Cinema, promosso dalla Cineteca di Bologna, quattro titoli (tutti in versione originale con sottotitoli italiani) che attraversano un arco ventennale della carriera dell’attore americano, dai pieni anni Settanta ai primi Duemila, quando per A proposito di Schmidt lo volle Alexander Payne, regista fresco della settimana di ferie trascorsa qui a Bologna, in occasione dell’edizione appena conclusasi del festival Il Cinema Ritrovato.

Primo appuntamento con il cinema di Jack Nicholson domani, sabato 20 luglio, alle ore 22 in Piazza Maggiore, con L’ultima corvée, diretto nel 1973 da Hal Ashby, viaggio di due sottoufficiali che scortano un marinaio accusato di furto, valso a Jack Nicholson la Palma d’Oro al Festival di Cannes nel 1974.

Domenica 21 luglio (da questa sera e fino alla fine del cartellone di Sotto le stelle del Cinema, martedì 30 luglio, l’inizio delle proiezioni è anticipato alle ore 21.45), l’ultimo film americano di Roman Polanski, Chinatown (1974).

È tratto dal romanzo di Ken Kesey Qualcuno volò sul nido del cuculo, film che nel 1975 squarcia il velo ovattato che avvolgeva gli istituti psichiatrici e le condizioni dei loro pazienti. In programma lunedì 22 luglio, Qualcuno volò sul nido del cuculo vinse cinque Oscar principali: miglior film, miglior regia per Milos Forman, miglior sceneggiatura, miglior attore per Jack Nicholson, miglior attrice per Louise Fletcher.

Quarto titolo con un salto al 2002: martedì 23 luglio, in cartellone c’è A proposito di Schmidt, diretto da Alexander Payne.


Sotto le stelle del cinema

Sabato 20 luglio, ore 22, Piazza Maggiore
L’ULTIMA CORVÉE (The Last Detail, USA/1973) di Hal Ashby (103’)

Dalla mia esperienza di montatore ho imparato a cercare di lasciare ogni cosa aperta. In altre parole, non faccio tagli in macchina; lascio ogni cosa più aperta che posso, perché ciò consente di avere più alternative. Tendo a girare una quantità di pellicola maggiore della media, specie quando ho a che fare con un attore come Jack Nicholson. Faccio quattro o cinque riprese; ma quello che voglio realmente da lui sono quattro o cinque variazioni, piccole variazioni all’interno del personaggio e del contesto. Funziona.
Hal Ashby

Le lunghe dissolvenze incrociate che contrappuntano il viaggio dei tre marmittoni di L’ultima corvée definiscono la tonalità tipica dei film di Ashby: una lenta diluizione, uno scivolamento dei corpi e delle idee, una certa impotenza volontaria a tradurre in fatti concreti (o in immagini) quel che si continua a ribadire a parole. Ne risulta una strana malinconia, a un tempo ironica e risentita. Due marinai (Jack Nicholson, scatenato, e Otis Young) devono scortare in prigione un terzo, il giovane Meadows (Randy Quaid), grosso, cleptomane e un po’ tardo. Meadows dovrà scontare otto anni di reclusione per aver cercato di rubare alla moglie d’un ammiraglio qualche dollaro destinato alle opere buone. Senza fare resistenza, si lascia condurre in autobus e in treno, fino a che i suoi guardiani, sempre meno indifferenti all'ingiustizia della sua condanna, decidono di fargli passare un po’ di tempo a far baldoria. Deviazioni di percorso, derive goliardiche, bevute e la visita a un bordello rallentano il cammino e fanno affiorare, alla fine d’ogni sequenza, la possibilità sempre più forte d’una presa di coscienza: Meadows potrebbe scappare, ma quest’idea sembra non riuscire a farsi strada nella sua mente, o svanire come un’immagine troppo fragile [...] Il percorso non sarà servito che a far crescere sentimenti senza conseguenze, e, ancora una volta, in agguato sotto il comico, quel che possiamo chiamare l’amarezza.
Cyril Béghin

Un’Odissea in cinque giorni di birra, bravate e bordello, e uno dei film migliori del nuovo cinema americano anni Settanta. La dura, sboccata sceneggiatura di Robert Towne (Chinatown) non cede per un attimo alle insidie del sentimentalismo. La regia energica di Hal Ashby infonde a scene potenzialmente informi un respiro istintivo e potente. La fotografia di Michael Chapman (Taxi Driver, Toro scatenato) colloca ogni digressione e ribellione sullo sfondo di uno scorticato paesaggio invernale, che pare infestato dal doppio spettro del Vietnam e di un presidente imbroglione già sull’orlo della propria rovina. Ma il vero fulcro del film sono le performance stellari: e il marinaio Jack Nicholson, masticatore di sigari e di oscenità, è una delle più grandi incarnazioni di machismo esibizionista mai viste sullo schermo.
Keith Uhlich


Domenica 21 luglio, ore 21.45, Piazza Maggiore
CHINATOWN (USA/1974) di Roman Polanski (125')

Robert Towne, un giovane sceneggiatore cresciuto nella factory di Corman, già noto per avere scritto lo splendido script di L’ultima corvée di Hal Ashby, aveva presentato a Robert Evans, vicepresidente della Paramount, un progetto di detective story ambientata negli anni Trenta e concepita espressamente per Jack Nicholson. Non un adattamento di Chandler, un soggetto originale intitolato semplicemente Chinatown. L’idea del titolo era venuta a Towne ascoltando i racconti di un ex-poliziotto di Los Angeles: “A Chinatown non si sa mai chi è un criminale e chi non lo è, per cui ti viene sempre consigliato di non fare niente”. Evans era rimasto affascinato dal titolo, ma soprattutto voleva lavorare con Nicholson, star in ascesa dopo l’exploit di Easy Rider e le incoraggianti esperienze con Rafelson e Ashby [...]. La proposta di dirigere Chinatown viene offerta a Polanski dall’amico Nicholson. Polanski si mostra perplesso: dopo l’omicidio della moglie, avvenuto quattro anni prima, non ha voglia di tornare negli Stati Uniti. Ma non può rifiutare il secondo invito alla corte di Hollywood: dopo il fallimento commerciale di Macbeth e di Che?, ha l’assoluta necessità di realizzare un film di successo.
Silvio Alovisio

Chinatown è considerato una delle più felici e originali riletture contemporanee del detective movie di eredità chandleriana. La qualità dei dialoghi e della ricostruzione d’epoca, l’accurata gradualità con cui viene alimentato lo spessore dei personaggi e dei loro anfratti psichici, l’eleganza visiva della messa in scena sono in realtà al servizio di una severa disamina di ogni mondo possibile, senza appello o riscatto. Secondo David Thompson (che nel romanzo Suspects, del 1985, ricostruisce la vita di molti personaggi di film famosi come se fossero veramente esistiti), Jake J. Gittes, il protagonista interpretato da Jack Nicholson, è nato a Chinatown da una prostituta cinese, morta durante un terremoto. Si tratta di una congettura non verificabile, dato che il passato del protagonista è l’unico mistero del film che non venga svelato o raccontato, nonostante uno dei motivi ricorrenti (“Lascia stare, Jake, è Chinatown”) sia proprio la continua evocazione del quartiere cinese come simulacro di un passato immodificabile e di un mondo in cui la legge e la giustizia non possono regnare. Nel finale, riscritto da Polanski senza accordo con lo sceneggiatore, Chinatown diviene la metafora dell’impossibilità di tutto (la vita, l’amore, il potere) a essere diverso [...]. Il mistero viene risolto, ma il caos della violazione e del sopruso, sotto l’ordine apparente, è riconfermato per sempre. Polanski imprime a questa rilettura la radicalità di uno scetticismo tipico dei suoi film migliori, quasi nascosto da una ricostruzione preziosa di cui tutti sono complici: John Huston (il padre del noir, qui nei panni di un patriarca onnipotente: la storia si svolge nel 1937, qualche anno prima che egli desse vita al genere con Il mistero del falco), Faye Dunaway (alla sua prova migliore), e naturalmente Nicholson: forse il più riuscito dei discendenti contemporanei di Philip Marlowe, ha diretto anche un seguito di questo film, The Two Jakes – Il grande inganno nel 1991.
Mario Sesti

Chinatown è un film sugli anni Trenta visto con gli occhi dei Settanta.
Roman Polanski


Lunedì 22 luglio, ore 21.45, Piazza Maggiore
QUALCUNO VOLÒ SUL NIDO DEL CUCULO (One Flew Over the Cuckoo’s Nest, USA/1974) di Milos Forman (125')
Serata promossa da Ottica Garagnani

Qualcuno volò sul nido del cuculo
è stato il primo film dai tempi di Accadde una notte a vincere cinque Oscar, per il miglior film, il miglior attore (Nicholson), la migliore attrice (Louise Fletcher), il miglior regista (Forman), la migliore sceneggiatura (Hauben & Goldman). Altrettanto avrebbero meritato il premio la fotografia di Haskell Wexler e il montaggio di Richard Chew. Ero presente alla prima mondiale, al Chicago Film Festival del 1975, e non ho mai più assistito ad un’ovazione così tumultuosa da parte di una platea cinematografica. Alla sua prima esperienza, il giovane coproduttore del film, Michael Douglas, si aggirava per l’atrio in stato confusionale.
Ma tutti coloro che negli anni hanno continuato a tributare a questo film un amore così intenso, come lo hanno percepito e come lo ricordano? Soprattutto per il suo tono di commedia ribelle, per la rivolta dei malati psichiatrici guidata dal paziente McMurphy, la fuga collettiva per andare a pesca, l’orgia notturna, e la sfida gettata in faccia all’infermiera Ratched, mentre Qualcuno volò sul nido del cuculo è la storia di una sconfitta. E tale resta anche se possiamo sempre chiamarla una vittoria morale, e sentirci tutt’uno con la fuga verso la libertà dell’indiano Chief [...]. Il film è basato sul bestseller di Ken Kesey, uscito nel 1962, che “conteneva l’essenza profetica di un’intera stagione, che dalla rivolta politica anti-Vietnam sarebbe passata alla psichedelia”. Trasformato dalla sensibilità anni Settanta in una parabola sull’induzione sociale al conformismo, il film quasi ostentatamente ignorava la realtà della malattia mentale e faceva dei pazienti un gruppo di personaggi teneri e stravaganti, pronti a farsi trascinare dalla personalità dirompente di McMurphy. Per curarli non servono né le pillole dell’infermiera Ratched né le sedute di psicoterapia; quel che ci vuole è guardare le World Series in tv, andare a pesca, giocare a basket, ubriacarsi e farsi una bella scopata. Il messaggio rivolto a questi bizzarri relitti, in fondo, è uno solo: siate come Jack.
Ma l’approccio semplicistico alla follia non è un limite reale del film, perché questo non è un film sulla follia. È un film su uno spirito libero in un sistema chiuso. L’infermiera Ratched, così inflessibile, cieca e sicura delle proprie ragioni, rappresenta il Mammismo al suo estremo più radicale, e McMurphy è un Huck Finn che vuole liberarsi da quest’idea materna di civiltà (tra le altre cose, scorre nel film una profonda paura delle donne; è un’osservazione, non una critica).
[...] La performance di Jack Nicholson è uno dei punti alti in una lunga carriera costellata di ammirevoli ribelli. Jack è oggi una presenza americana molto amata, un superbo attore e in più una superba affermazione di spirito maschile. Il sottotesto che rende così coinvolgenti tante sue interpretazioni è che Jack riesce a fronteggiare le situazioni perché sa come farlo, vuole farlo e ha il carattere per farlo. I suoi personaggi sono immagini viventi di libertà, anarchia, autogratificazione e capacità di sfidare ogni regola. Inoltre, sono spesso incarnazioni di un generoso spirito di amicizia, di una tormentata nobiltà.
Roger Ebert


Martedì 23 luglio, ore 21.45, Piazza Maggiore
A PROPOSITO DI SCHMIDT (About Schmidt, USA/2002) di Alexander Payne (124')
Serata promossa da Pelliconi

“Che cosa ci fa questa vecchia nel mio letto?”, si chiede un Jack Nicholson grasso, malmostoso e spelacchiato osservando la donna che è sua moglie da quarant’anni. Un attimo dopo è vedovo, e sempre di pessimo umore si mette in viaggio da Omaha, Nebraska, verso Denver, Colorado, per partecipare al matrimonio della figlia che sta per sposare un rivenditore di materassi ad acqua. Tanta provincia scolorita gli passa davanti agli occhi, mentre lui prova a fare i conti che non tornano d’una vita senza storia. Un ritratto istrionico con sottofondo tragico, dove Nicholson pigia il pedale d’ogni sgradevolezza senile (ma si ritroverà stritolato nell’abbraccio di Kathy Bates, gran pezzo di coetanea disinibita e sovrappeso).

 

Sotto le stelle del Cinema
21 giugno – 30 luglio
Piazza Maggiore

Sotto le stelle del Cinema fa parte di Bè – Bologna Estate 2013

Ufficio stampa Cineteca di Bologna
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