NON CI RESTA CHE PIANGERE
(Italia/1984) di Roberto Benigni e Massimo Troisi (113')
Soggetto e sceneggiatura: Massimo Troisi, Roberto Benigni, Giuseppe Bertolucci. Fotografia: Giuseppe Rotunno. Montaggio: Nino Baragli. Scenografia: Francesco Frigeri. Musica: Pino
Donaggio. Interpreti: Massimo Troisi (Mario), Roberto Benigni (Saverio), Amanda Sandrelli (Pia), Iris Peynado (Astriah), Paolo Bonacelli (Leonardo da Vinci), Carlo Monni (Vitellozzo), Elisabetta Pozzi (la ragazza che apre la porta), Fiorenzo Serra (Fiorenzo), Jole Silvani (Parisina). Produzione: Mauro Berardi, Ettore Rosboch per Yarno Cinematografica, Best International Film.
Versione originale con sottotitoli inglesi
Copia proveniente da Istituto Luce Cinecittà per concessione di Melampo Cinematografica
Il viaggio nel passato, per effetto di un sogno o di un cortocircuito temporale, costituisce un canovaccio classico del cinema comico, da Chaplin (His Prehistoric Past, 1914) e Keaton (L’amore attraverso i secoli, 1923) a Totò (Totò all’inferno, 1955). Quasi a metà degli anni Ottanta, reduci rispettivamente dal primo e dal secondo film come attori-registi, Roberto Benigni e Massimo Troisi si misurano senza complessi con questa tradizione, aiutati da Giuseppe Bertolucci sceneggiatore. Scelgono l’ambientazione degli ultimi anni del Quattrocento e una Toscana luminosa e verdeggiante, rendono omaggio a Totò e Peppino (la dettatura della lettera di Totò, Peppino... e la malafemmina), senza altre pretese che divertire e divertirsi. La complicità fra Benigni e Troisi appare evidente fin dalle prime sequenze, con una sorpresa: a differenza delle più ovvie aspettative, non è il napoletano a subire l’irruenza del toscano ma è quest’ultimo a dover sopportare il candido egoismo del primo e a fargli perfino da spalla in un intermezzo buffonesco-sentimentale. La regia latita, la narrazione è allegramente sconclusionata perché in buona parte frutto di improvvisazioni del momento ma proprio l’estemporaneità giova alla leggerezza di un film goliardico senza grevità, tenuto insieme dal perfetto affiatamento delle due maschere e dalla loro complementare diversità. (Roberto Chiesi)
A Massimo Troisi
Non so cosa teneva “dint’a capa”, / intelligente, generoso, scaltro, / per lui non vale il detto che è del Papa, / morto un Troisi non se ne fa un altro. Morto Troisi muore la segreta / arte di quella dolce tarantella, / ciò che Moravia disse del Poeta / io lo ridico per un Pulcinella. La gioia di bagnarsi in quel diluvio / di “jamm, ‘o saccio, ‘naggia, oilloc, ‘azz!” / era come parlare col Vesuvio, / era come ascoltare del buon jazz. “Non si capisce”, urlavano sicuri, / “questo Troisi se ne resti al Sud!” / Adesso lo capiscono i canguri, / gli Indiani e i miliardari di Hollywood! Con lui ho capito tutta la bellezza / di Napoli, la gente, il suo destino, / e non m’ha mai parlato della pizza, / e non m’ha mai suonato il mandolino. O Massimino, io ti tengo in serbo / fra ciò che il mondo dona di più caro, / ha fatto più miracoli il tuo verbo / di quello dell’amato san Gennaro. (Roberto Benigni)
Tariffe:
Ingresso libero
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