TORNERANNO I PRATI
(Italia/2014) di Ermanno Olmi (80')
Introducono Giorgio Diritti e Paolo Cottignola
Sceneggiatura: Ermanno Olmi. Fotografia: Fabio Olmi. Montaggio: Paolo Cottignola. Scenografia: Giuseppe Pirrotta. Musica: Paolo Fresu. Interpreti: Claudio Santamaria (il maggiore), Alessandro Sperduti (il tenentino), Francesco Formichetti (il capitano), Andrea Di Maria (il conducente di mulo), Camillo Grassi (l’attendente), Niccolò Senni (il dimenticato), Domenico Benetti (il sergente). Andrea Benetti (il caporale). Produzione: Cinemaundici, Ipotesi Cinema, Rai Cinema.
Versione originale con sottotitoli inglesi
Mio padre aveva diciannove anni quando venne chiamato alle armi. A quell’età, l’esaltazione dell’eroicità infiamma menti e cuori soprattutto dei più giovani. Scelse l’Arma dei bersaglieri, battaglioni d’assalto, e si trovò dentro la carneficina del Carso e del Piave, che segnò la sua giovinezza e il resto della sua vita. Ero bambino quando lui raccontava a me e a mio fratello più grande, del dolore della guerra, di quegli istanti terribili in attesa dell’ordine di andare all’assalto e sai che la morte è lì, che ti attende sul bordo della trincea. Ricordava i suoi compagni e più d’una volta l’ho visto piangere. Della Prima guerra mondiale non è rimasto più nessuno di coloro che l’hanno vissuta e nessun altro potrà testimoniare con la propria voce tutto il dolore di quella carneficina. Rimangono gli scritti: quelli dei letterati e quelli dei più umili dove la verità non ha contorni di retorica.
(Ermanno Olmi)
Nel 1961 a Venezia tre giovani registi esordivano nel lungometraggio con tre film ammirevoli: di Pasolini Accattone, di De Seta Banditi a Orgosolo, di Olmi Il posto. Avevano per sfondo la borgata romana, il Sopramonte di Orgosolo, Milano e il suo hinterland – tre luoghi forti e rappresentativi del nostro paese nel momento di una mutazione che sarebbe stata radicale, e tanto economica che antropologica […]. Olmi, che era cresciuto non ai margini dello sviluppo ma nel suo stesso cuore, da giovane documentarista della Edison, seppe affrontare di petto il ‘nuovo mondo’ senza lasciarsene traumatizzare: I fidanzati (un capolavoro, sull’arrivo dell’industria in un Sud ancora lento e arcaico e sull’incontro possibile tra Nord e Sud); la trilogia intimista di Un certo giorno, Durante l’estate e La circostanza e le numerose inchieste televisive; il canto pieno dell’Albero degli zoccoli, un mondo contadino che nessuno nel nostro cinema ha saputo amare e raccontare come lui, benché in un’ottica di accettazione e non di rivolta. Poi, via via, film sempre di grande originalità e coraggio, a volte forti e indovinati (Cammina cammina, una parabola sulla Natività, su una novità da cui gli intellettuali, i magi, non vengono davvero sconvolti; Il mestiere delle armi, una lezione di storia che individua nello sviluppo della tecnica la perdita del senso dell’umano e le responsabilità del potere verso la storia; il dolente e quasi rabbioso ultimo capolavoro, Torneranno i prati, il miglior film nostro sulla Grande Guerra) […].
Quei film dimostravano comunque la sua vitalità, un’attenzione al nuovo e al nascosto rara nel nostro cinema e nella nostra letteratura. L’aneddoto realistico si faceva allora fiaba o parabola, ‘esempio’ significativo e provocatorio, lezione ora palese e ora nascosta, provocazione al pensiero, alla reazione dello spettatore, e non-considerazione per ogni sua banale acquiescenza.
(Goffredo Fofi)
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