IL CITTADINO ILLUSTRE
(El ciudadano ilustre, Argentina-Spagna/2016) di Gastón Duprat e Mariano Cohn (118')
Fotografia: Gastón Duprat, Mariano Cohn. Sceneggiatura: Andrés Duprat. Montaggio: Jerónimo Carranza. Scenografia: María Eugenia Sueiro. Musica: Toni M. Mir. Interpreti: Oscar Martínez (Daniel Mantovani), Dady Brieva (Antonio), Andrea Frigerio (Irene), Belén Chavanne (Julia), Nora Navas (Nuria), Marcelo D’Andrea (Florencio Romero), Gustavo Garzón (Gerardo Palacios), Emma Rivera (Emilse). Produzione: Fernando Sokolowicz per Arco Libre, Televisión Abierta, Magma Cine, A Contracorriente Films.
Versione originale con sottotitoli italiani e inglesi
Che cosa preferirebbero gli accademici svedesi alla cerimonia di conferimento del Nobel per la letteratura? Un cortese rifiuto come quello che hanno ricevuto da Bob Dylan o un discorso di ringraziamento acido e fortemente critico come quello che legge Daniel Mantovani, lo scrittore argentino inventato da Mariano Cohn e Gastón Duprat (e da suo fratello Andrés Duprat, sceneggiatore) per il film Il cittadino illustre? Interpretato da un magistrale Oscar Martínez – che per questo ruolo ha vinto a Venezia con la Coppa Volpi – il protagonista del film dice davanti al re di Svezia e agli accademici quello che in tanti pensano (anche per il vero Nobel a Dylan), che il riconoscimento arriva sempre tardi, quando ormai la sua vena creativa si è inaridita e che quell’onore finirà per chiuderlo definitivamente in un museo, tra i ‘morti’ della letteratura. Come argentini, i due registi avevano forse qualche sassolino da togliersi visto che nella realtà nessun loro compatriota ha mai ricevuto la massima onorificenza letteraria, nemmeno Borges, ma cinematograficamente quel discorso nemmeno tanto sorprendente serve per introdurre il carattere del loro protagonista, ispido e spigoloso, che sembra farsi un vanto nel rifiutare ogni altro tipo di riconoscimento o di invito, chiuso nella sua casa di Barcellona. Solo per uno fa eccezione, spinto da una motivazione quasi inconscia, quello che gli arriva da Salas, la cittadina argentina che gli aveva dato i natali e da cui era fuggito ventenne, ma dove aveva ambientato i suoi romanzi, traendo ispirazione da persone e fatti locali. […] Se l’incontro di Salas con il suo ‘figliol prodigo’ offre l’occasione ai due registi per dar prova di tutta la loro sarcastica ironia nello stigmatizzare il provincialismo piccolissimoborghese della provincia argentina, il film rivela da subito altre ambizioni quando costruisce delle situazioni – le ‘lezioni di poesia’, il confronto con gli inevitabili questuanti o con gli aspiranti scrittori – che aprono il film verso discorsi più alti e complessi. Senza mai dare l’aria di voler salire in cattedra, Daniel Mantovani si trova a ‘spiegare’ gli spunti reali da cui ha tratto i suoi personaggi, il legame che unisce esperienza e fantasia, l’importanza della creatività e della pratica letteraria, arrivando così a tracciare un quadro della complessità del lavoro artistico che parte dalla letteratura e finisce per abbracciare anche il cinema. (Paolo Mereghetti)
Il film ci mostra l’incontro di due visioni del mondo, una popolare e una più sofisticata. Il protagonista torna al suo pueblo natale. Arriva quindi non in un luogo estraneo, ma in un luogo che conosce, che gli appartiene. Ora, però, Daniel Mantovani è un’altra persona, più raffinata: ha riflettuto molto e ha trasformato questo pueblo in una realtà letteraria, ha romanzato le sue esperienze. Ritornando in questa realtà, all’inizio non la trova tanto malvagia. Via via, però, emergono i problemi. Le sue azioni e le sue opinioni diventano sempre più controverse. Le differenze tra lui e il suo paese d’origine, quelle che lo avevano fatto andar via, si ritrovano intatte. In termini psicoanalitici, si può dire che non ha lavorato su queste differenze, e questo fa sì che i problemi si ripresentino identici. (Andrés Duprat)
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