QUALCUNO VOLÒ SUL NIDO DEL CUCULO
(One Flew Over the Cuckoo's Nest, USA/1975) di Milos Forman (133')
Introduce Roy Menarini
Soggetto: dal romanzo omonimo di Ken Kesey. Sceneggiatura: Lawrence Hauben, Bo Goldman. Fotografia: Haskell Wexler. Montaggio: Lynzee Klingman, Sheldon Kahn. Scenografia: Paul Sylbert. Musica: Jack Nitzsche. Interpreti: Jack Nicholson (McMurphy), Louise Fletcher (infermiera Ratched), Will Sampson (‘Capo’ Bromden), Brad Dourif (Billy Bibit), Christopher Lloyd (Taber), William Redfield (Harding), Danny DeVito (Martini), Peter Brocco (colonnello Matterson). Produzione: Saul Zaentz, Michael Douglas per Fantasy.
Versione originale con sottotitoli italiani
Copia proveniente da Paul Zaentz per gentile concessione di Saul Zaentz Company
Qualcuno volò sul nido del cuculo è stato il primo film dai tempi di Accadde una notte a vincere cinque Oscar, per il miglior film, il miglior attore (Nicholson), la migliore attrice (Louise Fletcher), il miglior regista (Forman), la migliore sceneggiatura (Hauben & Goldman). Ero presente alla prima mondiale, al Chicago Film Festival del 1975, e non ho mai più assistito ad un’ovazione così tumultuosa da parte di una platea cinematografica. Alla sua prima esperienza, il giovane coproduttore del film, Michael Douglas, si aggirava per l’atrio in stato confusionale. Ma tutti coloro che negli anni hanno continuato a tributare a questo film un amore così intenso, come lo hanno percepito e come lo ricordano? Soprattutto per il suo tono di commedia ribelle, per la rivolta dei malati psichiatrici guidata dal paziente McMurphy, la fuga collettiva per andare a pesca, l’orgia notturna, e la sfida gettata in faccia all’infermiera Ratched – mentre Qualcuno volò sul nido del cuculo è la storia di una sconfitta. E tale resta anche se possiamo sempre chiamarla una vittoria morale, e sentirci tutt’uno con la fuga verso la libertà dell’indiano Chief. […] Il film è basato sul bestseller di Ken Kesey, uscito nel 1962, che “conteneva l’essenza profetica di un’intera stagione, che dalla rivolta politica anti-Vietnam sarebbe passata alla psichedelia”. Trasformato dalla sensibilità anni Settanta in una parabola sull’induzione sociale al conformismo, il film quasi ostentatamente ignorava la realtà della malattia mentale e faceva dei pazienti un gruppo di personaggi teneri e stravaganti, pronti a farsi trascinare dalla personalità dirompente di McMurphy. Per curarli non servono né le pillole dell’infermiera Ratched né le sedute di psicoterapia – quel che ci vuole è guardare le World Series in tv, andare a pesca, giocare a basket, ubriacarsi e farsi una bella scopata. Il messaggio rivolto a questi bizzarri relitti, in fondo, è uno solo: siate come Jack.
(Roger Ebert)
Il libro racconta l’eterno conflitto tra l’individuo e le istituzioni. Inventiamo le istituzioni per cercare di rendere il mondo un luogo più giusto, più razionale […], eppure non appena sorgono, cominciano a controllarci, a irregimentarci, e dirigere la nostra vita. Incoraggiano la dipendenza per perpetuare se stesse, e sono minacciate dalle personalità forti. Buttai giù una scaletta della sceneggiatura; sapevo cosa avrei tagliato e cosa avrei lasciato, dove avrei aggiunto e dove avrei tolto. Decisi anche che il film non sarebbe stato narrato dal punto di vista dell’indiano. […] La scrittura è uno strumento perfetto per rendere il flusso di coscienza. Il cinema invece di solito vede il mondo dall’esterno, da un punto di vista più oggettivo. Le immagini sono concrete, quindi hanno un impatto più viscerale, più universale e persuasivo, però è più difficile ritrarre una vita interiore.
(Miloš Forman)
Tariffe:
Ingresso libero
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