ARRIVAL
(USA/2016) di Denis Villeneuve (116')
Soggetto: dal racconto Storia della tua vita di Ted Chiang. Sceneggiatura: Eric Heisserer. Fotografia: Bradford Young. Montaggio: Joe Walker. Scenografia: Patrice Vermette. Musica: Jóhann Jóhannsson. Interpreti: Amy Adams (Louise Banks), Jeremy Renner (Ian Donnelly), Forest Whitaker (colonnello Weber), Michael Stuhlbarg (agente David Halpern), Tzi Ma (generale Shang), Mark O’Brien (capitano Marks), Frank Schorpion (dottor Kettler). Produzione: Dan Levine, Shawn Levy, David Linde, Aaron Ryder per Lava Bear Films, FilmNation Entertainment, 21 Laps Entertainment.
Versione originale con sottotitoli italiani
Arrival fa parte della nidiata di film che nutrono la fantascienza degli anni Duemila, un genere cui si richiede meno spettacolarità (supereroi e saga di Star Wars fanno storia a sé) e maggior intimismo, come ben esemplificato da Gravity, Sopravvissuto – The Martian o Passengers. Il film afferma la sbilenca autorialità di Denis Villeneuve, che sembra realizzare ogni film per spiazzare i fan di quello precedente, e al tempo stesso trova una sua nicchia dentro il genere fantascientifico.
Ovviamente la parte del leone la fa il linguaggio, con la più appassionante seduta di traduzione che il cinema recente ricordi (e decrittare i segni, come nella trilogia tratta da Dan Brown, sembra essere diventata un’ossessione della nostra era iper-comunicativa). A suo modo, Arrival è anche un film politico, laddove invece sembra riportare tutto a una dimensione salvifica intima e famigliare. È politico perché, nello svolgimento dei fatti – oltre a mettere in scena la consueta ottusità militaresca del potere – racconta qualcosa del mondo contemporaneo, del multilateralismo internazionale, della fine di ogni primato imperiale americano, di come (ancora una volta parlando altre lingue) ci si apre alle culture lontane e si cerca di salvare il mondo. Pie illusioni in un mondo dominato da risentimenti, frustrazioni e populismi? Forse. Ma il compito della fantascienza è sempre stato quello di immaginare il futuro analizzando il presente. Se per una volta, invece che catastrofi e abomini, Villeneuve ci racconta una storia dove le scienze (umane, come lo sono tutte) dell’intero universo cooperano per cercare di comprendersi, che male c’è?
(Roy Menarini)
Inizialmente, la nave spaziale doveva essere rotonda, come una sfera, poi ho pensato che questo era stato già fatto. Non era abbastanza minacciosa o strana. Quindi ho avuto l’idea che la navicella avrebbe dovuto avere la forma di un ciottolo, una piccola pietra ovoidale. Mi sono ispirato a un asteroide o un piccolo pianeta chiamato Eunomia, in orbita nel sistema solare. La sua forma è pazzesca, come uno strano uovo. La storia di Arrival è incentrata su Louise Banks, linguista di una università del nordest degli Stati Uniti che viene reclutata dal governo per addentrarsi in una di quelle navicelle spaziali, entrare in contatto con gli alieni e cercare di tradurre e capire lo scopo della loro visita. Si tratta della relazione con una civiltà diversa. Amy Adams era l’attrice che sognavo per questa parte. Conosciamo questa civilizzazione, questi esseri venuti dallo spazio infinito, attraverso i suoi occhi. Mi serviva un’attrice che fosse abbastanza forte da farci credere in quanto accade nel film. Mi sono innamorato del racconto breve perché esplora il linguaggio, in modo bellissimo, poetico e potente. Volevo che il linguaggio fosse spaventoso e impressionante, non volevo che ricordasse in alcun modo il linguaggio umano, un linguaggio che provenisse da un modo diverso di pensare.
(Denis Villeneuve)
Tariffe:
Ingresso libero
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