LA FIAMMA DEL PECCATO
(Double Indemnity, USA/1944) di Billy Wilder (107')
Soggetto: dal romanzo omonimo di James M. Cain. Sceneggiatura: Billy Wilder, Raymond Chandler. Fotografia: John F. Seitz. Montaggio: Doane Harrison. Scenografia: Hans Dreier, Hal Pereira. Musica: Miklós Rózsa. Interpreti: Fred MacMurray (Walter Neff), Barbara Stanwyck (Phyllis Dietrichson), Edward G. Robinson (Barton Keyes), Porter Hall (Mr. Jackson), Jean Heather (Lola Dietrichson), Tom Powers (Mr. Dietrichson), Byron Barr (Nino Zachette), Richard Gaines (Mr. Norton), Fortunio Bonanova (Sam Gorlopis), John Philliber (Joe Pete). Produzione: Joseph Sistrom per Paramount Pictures.
Versione originale con sottotitoli italiani
Charles Brackett, sceneggiatore complice di Wilder, aveva rifiutato di scrivere La fiamma del peccato: definiva la storia di James M. Cain “puro trash”. Lo scandalo del film è infatti quello di trattare vite degradate di gente comune, dietro le facciate piccolo borghesi delle colline di Los Angeles. Non c’erano nemici pubblici e donne di dichiarato malaffare, ma una storia ispirata a un fatto di cronaca realmente accaduto. I dialoghi furono adattati da un Raymond Chandler insoddisfatto e acido, al tramonto di se stesso e incapace di intendersi con il regista. Riascoltati oggi, nell’originale come nel doppiaggio d’epoca, sembrano scolpiti nella pietra delle convenzioni, senza un errore o un cedimento, intenti a restituire, con poche parole, il male e la disillusione, il cinismo come unico compagno della lussuria. Non si può non rimanerne soggiogati. […] Le ombre, il bene che smarrisce i suoi confini, la passione che diventa coazione al delitto. Ma soprattutto la donna che si disfa della famiglia puntando solo al denaro, all’indipendenza dai legami e dai doveri, costi quel che costi e cioè poco, l’uccisione del marito disamato e la dannazione dell’amante mai amato. Barbara Stanwyck è per tutte e per tutti ‘la’ dark lady, la più glaciale. La parrucca che le fa indossare Wilder la imbruttisce e la involgarisce, ma sono quei pesanti e artefatti riccioli biondi a dettare, d’ora in poi, le regole estetiche della femme fatale. E, naturalmente, quel braccialetto alla caviglia che colpisce e stordisce Neff a prima vista, come un narcotico, un punto di non ritorno nella femminilità ricreata dal cinema. La Seconda guerra mondiale aveva strappato gli uomini all’America, le donne erano rimaste sole, costrette a lavorare e a mantenersi, l’immagine di bimba, fanciulla, moglie e madre protetta s’era definitivamente frantumata.
(Piera Detassis)
Barbara Stanwyck non si era mai trovata a interpretare una donna altrettanto fredda, egoista e calcolatrice. “In lei è subito scattato qualcosa” commentava Wilder all’epoca. Retrospettivamente, la versione riportata da Barbara Stanwyck è un po’ più complessa: dopo che Wilder le ebbe inviato la sceneggiatura e lei l’ebbe letta, in un primo momento ne fu spaventata. Di personaggi duri ne aveva interpretati, ma mai un out-and-out-killer. Per questo era un po’ spaventata; così, quando andò da Wilder, gli disse: “Il testo mi piace, e mi piace lei; ma dopo tanti ruoli eroici mi fa abbastanza paura dover tutt’a un tratto impersonare una cinica assassina”. Al che Billy Wilder, guardandola dritta in faccia, le chiese: “Ma lei è un topo o un’attrice?”. E Barbara Stanwyck rispose: “Un’attrice, spero!”. “E allora reciti quella parte!”. “Recitai la parte, e gliene fui molto grata”.
(Hellmuth Karasek)
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Ingresso libero
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