EYES WIDE SHUT
L'ultimo film di Kubrick giunge a dodici anni dal precedente. E poco dopo la sua morte. Esistono dubbi sulla versione finale del film, ma solo per quanto riguarda i piccoli colpi di pollice che il maestro avrebbe dato all'opera. Perché il film è totalmente kubrickiano. Un viaggio astratto nel cervello di una coppia, sempre più spettrale via via che New York (ricostruita a Londra) diventa la Vienna di Schnitzler. Chi pensa che sia un film più accomodante degli altri, si sbaglia: "È come se Kubrick tornasse a raccontarci Arancia meccanica (1971), ma eliminandone il pathos. Nell'Alex di quel film si mostrava l'anomalia. L'inferno che era in lui si faceva immagine e suono. Kubrick se ne lasciava coinvolgere, e così ce lo comunicava: come inferno estetizzato. Ora, invece, in Bill - e in Alice - si scorge la normalità, fors'anche la banalità. Solo che, inaspettato, il suo volto è quello stesso d'allora: l'inferno" (Roberto Escobar). E anche la sensazione che si tratti del canto del cigno di un autore invecchiato insieme alle proprie ossessioni viene spazzata via dalle tante implicazioni che il film (ci) pone: "È il film più duro di Kubrick, quello che concede di meno alla felicità del pubblico e della critica ed esige più degli altri una partecipazione intelligente. Kubrick regista filosofo, un tipo di regista assai raro, edifica i suoi eccezionali castelli di immagini su architravi di idee. Più Thanatos che Eros, nella nostra civiltà. L'orgia è un luogo misterioso e kitsch dell'eterna celebrazione del potere borghese sempre sul fondo occulto e ‘piduista', che resta per Kubrick un freddo e meccanico ‘sadiano' potere sui corpi, dei ricchi sui corpi dei poveri [...]. Kubrick le lascia [ad Alice] l'ultima parola e sigla il suo eterno ritorno sulle origini della nostra storia del Settecento, borghese e materialista, dell'eterna dialettica dell'illuminismo, rivendicando il materialismo più stretto, lo scopare" (Goffredo Fofi). (rm)
Tariffe:
ingresso gratuito