CHINATOWN
(USA/1974) di Roman Polanski (125')
Introduce Giacomo Manzoli
Robert Towne, un giovane sceneggiatore cresciuto nella factory di Corman, già noto per avere scritto lo splendido script di L'ultima corvè di Hal Ashby, aveva presentato a Robert Evans, vicepresidente della Paramount, un progetto di detective story ambientata negli anni Trenta e concepita espressamente per Jack Nicholson. Non un adattamento di Chandler, un soggetto originale intitolato semplicemente Chinatown. L'idea del titolo era venuta a Towne ascoltando i racconti di un ex-poliziotto di Los Angeles: "A Chinatown non si sa mai chi è un criminale e chi non lo è, per cui ti viene sempre consigliato di non fare niente". Evans era rimasto affascinato dal titolo, ma soprattutto voleva lavorare con Nicholson, star in ascesa dopo l'exploit di Easy Rider e le incoraggianti esperienze con Rafelson e Ashby [...]. La proposta di dirigere Chinatown viene offerta a Polanski dall'amico Nicholson. Polanski si mostra perplesso: dopo l'omicidio della moglie, avvenuto quattro anni prima, non ha voglia di tornare negli Stati Uniti. Ma non può rifiutare il secondo invito alla corte di Hollywood: dopo il fallimento commerciale di Macbeth e di Che?, ha l'assoluta necessità di realizzare un film di successo.
(Silvio Alovisio)
Chinatown è considerato una delle più felici e originali riletture contemporanee del detective movie di eredità chandleriana. La qualità dei dialoghi e della ricostruzione d'epoca, l'accurata gradualità con cui viene alimentato lo spessore dei personaggi e dei loro anfratti psichici, l'eleganza visiva della messa in scena sono in realtà al servizio di una severa disamina di ogni mondo possibile, senza appello o riscatto. Secondo David Thompson (che nel romanzo Suspects, del 1985, ricostruisce la vita di molti personaggi di film famosi come se fossero veramente esistiti), Jake J. Gittes, il protagonista interpretato da Jack Nicholson, è nato a Chinatown da una prostituta cinese, morta durante un terremoto.
Si tratta di una congettura non verificabile, dato che il passato del protagonista è l'unico mistero del film che non venga svelato o raccontato, nonostante uno dei motivi ricorrenti ("Lascia stare, Jake, è Chinatown") sia proprio la continua evocazione del quartiere cinese come simulacro di un passato immodificabile e di un mondo in cui la legge e la giustizia non possono regnare.Nel finale, riscritto da Polanski senza accordo con lo sceneggiatore, Chinatown diviene la metafora dell'impossibilità di tutto (la vita, l'amore, il potere) a essere diverso [...]. Il mistero viene risolto, ma il caos della violazione e del sopruso, sotto l'ordine apparente, è riconfermato per sempre. Polanski imprime a questa rilettura la radicalità di uno scetticismo tipico dei suoi film migliori, quasi nascosto da una ricostruzione preziosa di cui tutti sono complici: John Huston (il padre del noir, qui nei panni di un patriarca onnipotente: la storia si svolge nel 1937, qualche anno prima che egli desse vita al genere con Il mistero del falco), Faye Dunaway (alla sua prova migliore), e naturalmente Nicholson: forse il più riuscito dei discendenti contemporanei di Philip Marlowe, ha diretto anche un seguito di questo film, The Two Jakes (Il grande inganno, 1991).
Chinatown è un film sugli anni Trenta visto con gli occhi dei Settanta.
(Roman Polanski)
Tariffe:
Ingresso libero
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