FRANK COSTELLO FACCIA D'ANGELO
21.10 Più di un secolo di Barca in Foto
21.45 FRANK COSTELLO FACCIA D'ANGELO
(Le Samouraï, Fra-Ita/1967) di J. P. Melville (105')
Il film col più regale e impenetrabile dei killer. Solo Melville con  il noir e Leone con il western riescono, da europei, a trasformare i  generi classici hollywoodiani in qualcosa che sta tra la poesia e la  pittura: la scena domestica del protagonista (un interno uniforme,  grigio e sabbia, con gabbia e canarino) sembra quella di un quadro di  Hopper. Rigido ed essenziale nell'intreccio, a tratti di un romanticismo  struggente, è tra le massime e più significative stilizzazioni di  luoghi, sentimenti e gesti tipici del nero americano: l'impassibilità  dei criminali e il loro ineluttabile destino di tradimento, gli sguardi  di desiderio senza parole scambiati con la cantante del night, il senso  di minaccia e disperazione. La violenza (la pistola puntata,  l'aggressione improvvisa) e la determinazione imperscrutabile che la  precede sono analizzati fino a una tensione astratta e alienante che  produce "quell'aura di concentrazione fisica e morale" (Claude Beylie),  quintessenza del cinema di Melville: insieme alla rappresentazione  ossessiva della solitudine, mascherata, come per un guerriero, da abiti,  luci e notti del cinema americano.
Massimo Sebastiani e Mario Sesti
L'epigrafe in testa al film - "nessuno è più solo di un samurai  senza padrone, forse soltanto una tigre nel deserto" - [da noi] venne  soppressa. Questa epigrafe è una truffa. Non viene da nessun codice dei  samurai, da nessun testo sacro impregnato di antica sapienza giapponese.  È un'invenzione di Melville. [...] Melville, a differenza dei corifei  del '68, era un conservatore. Meglio, un gollista. Partigiano  combattente, capace di coinvolgere Paul Vercors in Le Silence de la mer,  forse uno dei più bei racconti sulla Resistenza in ogni paese, ma non  comunista, non ‘de sinistra'. E allora: per Melville richiamarsi  all'inesistente codice del samurai aveva il sapore di uno sberleffo  anarchico. Questo è un film ‘polar'. Vi mancano i quarti di nobiltà?  Eccoveli, sotto forma di citazione. Ora Le Samuraï è diventato un film  polar d'autore. Ma sempre Samuraï resta. [...] Pure, nel suo tempo, il  film resta una lezione esemplare: è polar, metafisico, perfettamente  calato nel rispetto persino maniacale delle regole. L'eroe è solo.  Intorno a lui, un Male ancora più aggressivo e contagioso di quello del  quale il sicario è portatore (ne sono contagiati persino gli osceni  sbirri). La città è nera, e non offre né scampo né redenzione. Gli
elementi della tradizione, insomma, ci sono tutti. Ma c'è anche qualcosa di diverso. Qualcosa di sottilmente eversivo.
Giancarlo De Cataldo
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