LA PORTA DEL CIELO

(Italia/1945) R.: Vittorio De Sica. D.: 85'

Introduce Emiliano Morreale (CSC - Cineteca Nazionale) 

Scen.: Cesare Zavattini, Diego Fabbri, Vittorio De Sica, Adolfo Franci, Carlo Musso. F.: Aldo Tonti. M.: Mario Bonotti. Scgf.: Salvo D'Angelo. Mus.: Enzo Masetti. Su.: Mario Amari. Int.: Marina Berti (la crocerossina), Elettra Druscovich (Filomena, la governante), Giuseppe Forcina (l'ingegnere), Massimo Girotti (il giovane cieco), Giovanni Grasso (il commerciante paralitico), Roldano Lupi (Giovanni Brandacci, il pianista), Maria Mercader (Maria), Carlo Ninchi (accompagnatore del cieco), Elli Parvo (signora provocante). Prod.: Corrado Conti di Senigallia, Salvo D'Angelo per Orbis Film. Pri. pro.: 15 febbraio 1945. 35mm. D.: 85'. Bn. Versione italiana / Italian version
Da: CSC - Cineteca Nazionale

Le riprese del film si prolungarono per tutto il periodo dell'occupazione nazista. A un certo punto eravamo però veramente agli sgoccioli. Avevo paura che le SS ci pigliassero tutti e ci mandassero in campo di concentramento per far finire la buffonata. [...] Stavamo girando in esterni a San Paolo. Si avvicina il ciacchista. Erano circa le cinque del pomeriggio. "Dottore, si comincia a girare?", mi chiede. Io rispondo con la solita domanda che facevo da mesi: "Sono tutti riposati?". Il ciacchista stava per dire non so cosa quando mi sembra di udire un brontolio in lontananza. Faccio mente locale sulla direzione e capisco che è proprio quella giusta, dove stanno gli angloamericani. Quelli erano i loro cannoni. Allora lancio un urlaccio che fece balzare tutti in piedi. "Sono mesi che non fate niente! Questo film deve finire! È una porcheria! Vi insegnerò io a muovervi!".


Vittorio De Sica, intervista di Armando Stefani, Per salvarmi dalle 'SS' girai un 'Kolossal', "T7", 6 luglio 1969



La porta del cielo narra di miracoli. Il primo miracolo - mi sembra - è lo stesso film, portato a termine dopo sette mesi di lavorazione attraverso incredibili difficoltà. [...] Basterà ricordare che il 3 giugno scorso, mentre a pochi chilometri di distanza si decideva la battaglia per Roma, ottocento tra comparse e tecnici vari erano agli ordini del regista nell'interno della basilica di San Paolo, intenti a girare, dimostrando un disprezzo per la guerra che soltanto Archimede avrebbe condiviso. "Li avevo chiusi a chiave - racconta De Sica - altrimenti qualcuno scappava". E ride come di uno scherzo riuscito. [...] Un treno 'bianco' parte alla volta di Loreto col suo carico di infermi. Tra questi un ragazzo, un vecchio commerciante, una ragazza, un pianista, una vecchia domestica, un giovane cieco: tutte persone che tentano il viaggio animati da una segreta  speranza: il miracolo. Vedremo poi che il miracolo non ci sarà, ma tutti avranno trovato in quel pellegrinaggio, al  contatto  con  l'infelicità  altrui,  la  fede necessaria per sopportare la propria. [...] De Sica sa portare nelle sue opere quel tanto di vivo e di osservato, che fa la loro fortuna. Era facilissimo sbagliare questo film trincerandosi dietro la nobiltà dell'assunto: De Sica non l'ha fatto perché è riuscito a rimanere se stesso. Quel bambino che viene issato a braccia nello scompartimento e che sorride scusandosi della sua infermità, quelle giovani  viaggiatrici che sottolineano l'arrivo del treno a Napoli cantando nostalgicamente - come tante volte ci è accaduto di verificare nella realtà -, quel sordido vicolo meridionale, la finta allegria del cieco, sono  tutti motivi fermati con occhio sensibile e che fanno la grazia del film, dando verità all'azione, impedendo il fiorire della retorica.


Ennio Flaiano, La porta del cielo, "Domenica", n. 18, 6 maggio 1945, ora in Lettere d'amore al cinema, Rizzoli, 1978

 


The shooting of the film extended throughout the entire period of Nazi occupation. At a certain point though, we were really just barely hanging on. I was afraid the SS would come and take us all and send us to concentration camps to end the farce once and for all. [...] We were shooting outside of the basilica of San Paolo. The clapper boy came over to me, it was about five in the afternoon. "Dottore, are we going to start shooting?" he asks. I answer with the usual question I repeated for months: "Is everyone rested up?". The clapper boy was about to say something when I heard a loud explosion in the distance. I tried to get a handle on where it came from and realized it was coming from where we hoped, where the British and Americans were. It was the sound of their cannons. So I let out a shout that made everyone jump to their feet: "You haven't done anything for months! Shame on you! We have to finish this film!".


Vittorio De Sica, interview by Armando Stefani,
Per salvarmi dalle 'SS' girai un 'Kolossal', "T7", July 6, 1969



La porta del cielo is a story of miracles. The first miracle - it seems to me - is the film itself, finished  after seven months of production under the most trying circumstances. [...] One need only remember that three days ago, while only a few kilometers away the battle for Rome was being decided, eight hundred or so extras and crew members were following orders from their director inside the basilica of San Paolo, intent on shooting, showing a disdain for the war that only Archimedes might have shared. "I locked everyone in", De Sica recalls, "or someone might have run away". And he laughs as if it were a great joke. [...] A 'white' train leaves Loreto with its injured and infirm passengers. Among them we find a boy, an old salesman, a girl, a pianist, an elderly maid, and a blind young man: all of them are traveling, bearing a secret optimism in the hope of some miracle. We will see that the miracle is not to be, but on this trip all will find, through their contact with others in hardship, the necessary faith to deal with their own difficulty. [...] De Sica knows how to imbue his work with such life and poignant observation that it is truly accomplished. It might have been so easy to make the mistake with this film by relying on the essential nobleness of its premise: De Sica didn't do this because he succeeded in remaining true to himself. That child who is picked up and carried into the compartment, who smiles excusing himself for his infirmity, those young travelers who highlight the arrival in Naples by singing nostalgically, as happened so often in real life, that sordid southern alley, the false cheerfulness of the blind man, are all products of a perceptive eye, a sensitivity which brings the grace to this film, the truth to the events and allow it to avoid any tendency toward bombast.

Ennio Flaiano, La porta del cielo, "Domenica", n. 18, May 6, 1945, now  in Lettere d'amore al cinema, Rizzoli, 1978

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