IL FERROVIERE
(Italia/1956) di Pietro Germi (118')
Regia: Pietro Germi. Soggetto: Alfredo Giannetti. Sceneggiatura: Pietro Germi, Luciano Vincenzoni, Alfredo Giannetti. Fotografia: Leonida Barboni. Montaggio: Dolores Tamburini. Scenografia: Carlo Egidi. Musica: Carlo Rustichelli. Interpreti: Pietro Germi, (Andrea Marcocci), Luisa della Noce (Sara Marcocci, sua moglie), Sylva Koscina (Giulia), Saro Urzì (Gigi Liverani), Carlo Giuffrè (Renato Borghi), Renato Speziali (Marcello Marcocci), Edoardo Nevola (Sandrino Marcocci). Produzione: Carlo Ponti per Enic. Durata: 120’
Copia proveniente da Istituto Luce - Cinecittà per concessione di Surf Film
Versione italiana con sottotitoli inglesi
Germi veniva da una serie di insuccessi commerciali e alla ricerca di nuovi soggetti fu conquistato dal racconto inedito di un giovane sceneggiatore comunista, Alfredo Giannetti, che aveva come protagonista un operaio e la sua famiglia. Il produttore, Carlo Ponti, non credeva nel progetto e anche per rallentarne la realizzazione propose, per la parte del protagonista, nomi impossibili come quelli di Spencer Tracy e Broderick Crawford. Fu Giannetti a intuire che Germi avrebbe voluto e potuto interpretare il ruolo principale e fu lui a dirigerlo nei provini che convinsero Ponti. Con i suoi Nastri d’argento al film e al produttore, Il ferroviere fu un grande successo, nei piccoli centri ancor più che nelle grandi città. Il pubblico fu colpito dalla sincerità dell’opera, specchio dell’Italia dell’epoca: una Roma in costruzione dove i palazzi rubano spazio al gioco dei bambini, paghe che non bastano, scioperi, crumiri, dirigenti sindacali che non ascoltano, un mondo dove l’unica salvezza è nel senso di appartenenza a un mondo antico, popolare, capace, con il proprio affetto e le proprie radici, di dare la forza per affrontare i drammi della vita. […] Opera corale sul tempo che passa, il film doveva intitolarsi Un giorno e tutti i giorni perché racconta “lo scorrere lento della vita, il senso amaro, tenero, drammatico e dolce della vita”. È probabilmente il film più musicale del cinema italiano, con una colonna sonora di Carlo Rustichelli che sorregge l’onda emotiva degli avvenimenti. Germi fa un uso sistematico delle ellissi e sfrutta ritmicamente due punti di vista narrativi, quello di Sandrino, che addolcisce la durezza degli avvenimenti, e quello del narratore che invece li drammatizza. La grandezza del film sta nel fatto che Germi raccontando i cambiamenti italiani, facendo i conti con la tradizione neorealista, mette in scena una storia universale: il sentimento di gioia infine brevemente raggiunto dai due coniugi non può non ricordare la conclusione di Viaggio a Tokyo, dove i due anziani genitori osservano la durezza della vita trascorsa con uno sguardo caldo, disincantato e carico di civile e dignitosa felicità.
(Gian Luca Farinelli)
Settembre 1961, a Roma. Da Rosati a via Veneto. Fu proprio Germi a rivolgermi un saluto. Fino ad allora, io lo incontravo spesso lì (lo ammiravo moltissimo), ma non avevo mai osato importunarlo. Mi disse che aveva visto Il posto, il mio film che era stato alla Mostra di Venezia e che gli era piaciuto. Io gli confidai la grande emozione (e le lacrime!) per il suo Ferroviere. Ma al di là della grazia sublime dell’opera – di una rara potenza poetica! – c’era per me una ragione particolare, che mi faceva amare in modo speciale quel suo film: riguardava la mia stessa vita e quella di mio padre. Per quelle strane, imperscrutabili coincidenze dei destini, le vicende del suo Ferroviere ricordavano quelle capitate a mio padre, anche lui macchinista di locomotiva. […] Riconobbi nelle umiliazioni del Ferroviere di Germi le stesse subite da mio padre; e capii il suo dolore, anche se aveva sempre cercato di nasconderlo. Dopo quell’incontro, ci siamo rivisti altre volte al Rosati di via Veneto. Non parlammo più del Ferroviere. Tuttavia quella storia in comune ci faceva sentire in tacita intesa: una sorta di parentela sentimentale.
(Ermanno Olmi)
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Ingresso libero
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