I SETTE SAMURAI

(Giappone/1954) di Akira Kurosawa (207')  

Regia: Akira Kurosawa. Sceneggiatura: Shinobu Hashimoto, Hideo Oguni, Akira Kurosawa. Fotografia: Nakai Asakazu. Montaggio: Akira Kurosawa. Scenografia: So Matsuyama. Musica: Fumio Hayasaka. Interpreti: Takashi Shimura (Kanbei), Toshiro Mifune (Kikuchiyo), Yoshio Inaba (Gorobei), Seiji Miyaguchi (Kyozo), Minoru Chiaki (Heihachi), Daisuke Kato (Shichiroji), Ko Kimura (Katsushiro), Kamatari Fujiwara (Manzo). Produzione: Shojiro Motoki per Toho. Durata: 207'
Versione originale con sottotitoli italiani e inglesi


Realizzato dopo il successo internazionale di Rashomon, I sette samurai è il film che più di altri fa conoscere in Occidente il jidai-geki, genere giapponese dedicato alla rappresentazione di drammi storici. Ambientato nel secolo delle guerre di riunificazione del paese - il periodo che spesso fa da sfondo al cinema di Kurosawa - il film racconta le gesta di un gruppo di ronin che, perso il loro signore in battaglia, sono costretti a vivere allo sbando, percorrendo le strade del paese di città in città nella speranza di trovare qualcuno che li prenda al suo servizio. Kurosawa dà spessore psicologico ai suoi sette eroi, disegnando, attraverso di essi, un complesso e articolato ritratto della classe samuraica. Con lo stesso rigore e la stessa intensità dipinge i suoi contadini e, soprattutto, i rapporti tra queste due diverse classi, essenziali nello sviluppo storico del Giappone. All'intreccio principale, quello dello scontro con i briganti, il film aggiunge diversi intrecci secondari, come quelli della storia d'amore fra Shino e Katsushiro e della vera identità di Kikuchiyo, intrecci tutti funzionali a dare diverse sfumature al tema principale del rapporto fra le due diverse classi.
Film di grande respiro epico, I sette samurai riprende ampiamente l'aneddotica del bushido (la via del guerriero), ma si rifà anche a modelli del cinema occidentale, attingendo sia alla lezione di Ejzenštejn sia a quella del cinema western e dando così vita a un sincretismo culturale che ne spiega, in parte, l'enorme popolarità. Il film vive di quella tensione di stasi e dinamismo che Kurosawa riprende dal teatro tradizionale del suo paese - in particolare il kabuki - e che mette lo spettatore in un continuo stato di attesa per ciò che sta per accadere ma che ancora non accade. Importante, a questo proposito, è il ruolo dello sguardo dei diversi personaggi e in particolare di Kanbei, il capo dei samurai, che sembra sempre essere in grado di comprendere qualcosa in più di ciò che semplicemente vede - e che noi spettatori vediamo con lui. Sul piano iconico, Kurosawa impone alle sue immagini un'energia affatto particolare attraverso i bruschi movimenti dei personaggi (in particolare quelli di Kikuchiyo), gli interventi della natura (il vento che solleva la polvere e muove le foglie degli alberi), l'uso delle luci (le ombre che si agitano e le fiamme dei falò), gli improvvisi movimenti di macchina e il ruvido e diseguale montaggio, che raccorda fra loro inquadrature di natura molto diversa, sia sul piano della distanza sia su quello dell'angolazione.
I sette samurai ha vinto il Leone d'argento alla Mostra di Venezia del 1954. Il suo successo internazionale è confermato dal remake, in chiave western, realizzato da John Sturges nel 1960 col titolo I magnifici sette.

(Dario Tomasi)

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L'evento è parte di: Sotto le stelle del cinema 2017

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