Venerdì 5 luglio 201318.15
Cinema Arlecchino

SUDDEN FEAR

(So che mi ucciderai, USA/1952) R.: David Miller. D.: 111'

Introduce Tim Lanza (Cohen Film Collection)

T. it.: So che mi ucciderai. Sog.: dal romanzo omonimo di Edna Sherry. Scen.: Lenore Coffee, Robert Smith. F.: Charles B. Lang Jr. M.: Leon Barsha. Scgf.: Boris Leven, Edward G. Boyle. Mus.: Elmer Bernstein. Su.: T.A. Carman, Howard Wilson. Int.: Joan Crawford (Myra Hudson), Jack Palance (Lester Blaine), Gloria Grahame (Irene Neves), Bruce Bennett (Steve Kearney), Virginia Huston (Ann Taylor), Touch Conners (Junior Kearney). Prod.: Joseph Kaufmann per Joseph Kaufmann Productions. Pri. pro.: 7 agosto 1952 DCP. D.: 111'. Bn. Versione inglese / English version
Da: Cohen Film Collection per concessione di Park Circus
Restaurato nel 2012 da Cohen Film Collection presso Modern Videofilm a partire da un controtipo positivo 35mm e da un positivo colonna, entrambi provenienti da un negativo 35mm conservato al BFI National Archive / Restored in 2012 by Cohen Film Collection at Modern Videofilm from a 35mm fine grain and sound positive, both struck from a 35MM negative held at the BFI National Archive


Sono questi gli anni in cui a Joan Crawford capita di emergere da vischiosi grovigli di melodramma e noir, ora sconfitta ora vittoriosa, ma comunque sola. Sola col suo rimorso, come recita il titolo italiano di Harriet Craig (Vincent Sherman, 1950); sola come può esserlo un'intraprendente single mother la cui figlia amatissima prima se la fa con l'uomo di mamma, poi lo ammazza, nel capolavoro Mildred Pierce (Michael Curtiz, 1945); sola e smarrita per le strade di Los Angeles, preda d'una follia che affonda le radici in un abbandono, in Anime in delirio di Curtis Berhardt (1947). A volte poi non emerge affatto, anzi sprofonda nelle acque dell'oceano, come nel finale sublime e wagneriano di Perdutamente. Ci sarà un motivo, in tutto questo? A rileggere vent'anni di cinema americano come macrotesto morale, potremmo pensare che questo è quel che ti succede quando sei stata un po' troppo dancing daughter, o rubamariti dalle unghie laccate rosso giungla, com'era Joan in Donne di Cukor...  Sudden Fear, in ogni caso, conferma senza scosse la norma divistica. Myra  Hudson  è  tuttavia  un  personaggio interessante, nelle premese persino insolito: una drammaturga (e se ci sono diverse scrittrici nel cinema di questi anni, ben poche scrivono per il teatro), una donna ricca per eredità ma che vive del proprio talento, sicura di sé, imperiosa. Però ha quella solita debolezza femminile, con cui le eroine del woman's film anni Quaranta avevano ingaggiato un'aspra dialettica, langue perché le manca un uomo; e nel lungo viaggio in treno da New York a San Francisco cede alle lusinghe di un mediocre attor giovane di cui aveva bocciato il provino. (Sono sequenze molto belle, e il restauro rende giustizia al loro côté nostalgico, ai perduti paesaggi urbani, a San Francisco nel sole del 1952). Il resto è materia nota, lui è Jack Palance e le preferisce Gloria Grahame, mette in atto un piano d'omicidio, lei scopre tutto e sfodera un'autodifesa in forma di trappola per topi, con sciabolate notturne di luci e ombre... però è davvero pietrificata dal dolore, e il film diventa soprattutto questo, uno studio del volto di Joan Crawford, occhi sbarrati e ogni muscolo teso allo spasimo, ciò che fece scrivere al poco gentile Bosley Crowther che la performance di Mrs. Crawford aveva raggiunto "uno stato di ossificazione". Il regista David Miller tornerà a occuparsi di una matura damsel in distress nel più ricordato e ancora circolante dei suoi film, Merletto di mezzanotte, variazione hitchcockiana piacevolmente camp; lì però siamo nel 1960, le ombre del noir e i sensi di colpa del woman's film sono alle spalle, la 'ragazza in pericolo' è Doris Day e non ci pensa nemmeno a sbrogliarsela (né a restare) da sola: a liberarla d'un uxoricida fascinoso ma piuttosto bacucco ci pensa anzi un architetto aitante e, questa volta serenamente, molto più giovane di lei.

Paola Cristalli



It was the time when Joan Crawford emerged from the tangled mess of melodrama and noir, at times defeated, at times victorious,  but  always  alone. "Alone with her regret",  as  the  Italian  title  of  Harriet Craig  suggests  (Vincent  Sherman,  1950); alone like a resourceful single mother can be, whose beloved first daughter has an affair with her mother's man, then kills him, in the masterpiece Mildred Pierce (Michael Curtiz, 1945); alone and lost on the roads of Los  Angeles,  prey to  the  insanity  that is  rooted  in  abandonment,  in Curtis  Berhardt's Possessed (1947). At time she does not emerge at all, in fact she sinks to the bottom of the ocean, like in the Wagnerian sublime finale to Humoresque. Is there a reason for any of this? Looking at twenty years of American cinema as a moral catalogue, we might think this is what happens when you have been such a dancing daughter, or a wife stealer with painted red nails, like  Joan  was  in  Cukor's  The  Women... However,  Sudden Fear treads the same ground without upsetting the standard. Myra Hudson is, however, an interesting character, even one with an unusual premise:  a  playwright  (and  if  in  these  years there  are  various  women  writers  on  the screen, very few of them write for the theatre), a woman who is rich from her inheritance but who lives off her talent, self-assured and domineering. However, she has that basic feminine weakness, which the heroines of the Forties woman's films had so bitterly dealt with, she becomes sad because she misses a man. On the long train voyage from New York to San Francisco, she gives in to the flattery of a young mediocre actor who she had previously rejected in an audition. (These are really beautiful sequences and the restoration gives justice to their nostalgic side, the lost urban landscapes and San Francisco in the sun in 1952). The rest is well-known material, he is Jack Palance and he chooses Gloria Grahame over her, he puts together a plan to kill, she discovers everything and gives a show of a self-defense that is like a mousetrap, playing with the lights and shades of the night... but she is really petrified with pain, and the film becomes a study of Joan Crawford's face, eyes open wide and every muscle in spasm, causing the not very kind Bosley Crowther to write that Mrs. Crawford's "theatrical personality has now reached the ossified stage". The director David Miller would return to work with a mature damsel in distress in the best remembered of his films, Midnight Lace, a pleasantly camp Hitchcockian variation. That however was in 1960, the shadow of noir and the guilt of woman's film are behind us, the damsel is Doris Day and she would not even think about doing it herself, nor being on her own; so she is liberated from this charming but rather old wife killer by a handsome architect who is, this time serenely, much younger than her.

Paola Cristalli

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