THE LUSTY MEN
(Il temerario , USA/1952) Regia: Nicholas Ray. D.: 113'
Sog .: dal racconto di Claude Stanush . Scen .: David Dortort, Horace McCoy . F .: Lee Garmes . M .: Ralph Dawson . Scgf .: Albert D'Agostino, Alfred Herman . Mus .: Roy Webb . Su .: Phil Brigandi, Clem Portman . Int .: Susan Hayward (Louise Merritt), Robert Mitchum (Jeff McCloud), Arthur Kennedy (Wes Merritt), Arthur Hunnicutt (Booker Davis), Frank Faylen (Al Dawson), Walter Coy (Buster Burgess), Carol Nugent (Rusty), Maria Hart (Rosemary Maddox) . Prod .: Thomas S . Gries, Jerry Wald e Norman Krasna per Wald/Krasna Productions . Pri . pro .: 24 ottobre 1952 35mm . D .: 113' . Bn . Versione inglese / English version. Da: The Film Foundation e Warner Bros . per concessione di Park Circus. Restaurato da Warner Bros . in collaborazione con The Film Foundation e The Nicholas Ray Foundation . Restaurato a partire da un negativo camera originale 35mm usando i tradizionali metodi fotochimici . Il negativo sonoro originale è andato distrutto, il restauro del suono è stato dunque completato a partire da un negativo nitrato 35mm risonorizzato conservato presso il Royal Film Archive of Belgium . Warner Bros . ha anche utilizzato un controtipo nitrato proveniente dal Belgio per sostituire sezioni danneggiate nel negativo camera originale / Restored by Warner Bros. in collaboration with The Film Foundation and The Nicholas Ray Foundation. Restored from the original 35mm camera negative using traditional photochemical methods. The original soundtrack negative had been destroyed, therefore sound restoration was completed from a 35mm nitrate re-record negative held by the Royal Film Archive of Belgium. Warner Bros. also used a nitrate picture dupe from Belgium to replace sections damaged in the original camera negative.
È quasi impossibile classificare The Lusty Men in un unico genere: essendo ambientato nel mondo del rodeo è strettamente legato al western, ma è anche in parte una storia d'amore, mentre lo stile semidocumentario con cui sono descritti i rodei lo fa sconfinare nello studio sociologico. Sotto i titoli di testa scorrono le scene di una parata tipicamente americana (con indiani, cowboy e majorette), suggerendo che almeno a un certo livello lo si può interpretare come un film sull'America. Questa lettura è giustificata dal nucleo narrativo, che parla di indipendenza, ambizione, successo e fallimento: in altre parole, del Sogno americano. Ray stesso disse che il film era in parte una risposta al desiderio di molti americani, negli anni del dopoguerra, di metter su casa e famiglia. La sensazione di autenticità, in questo ritratto non idealizzato della povertà, dello sradicamento e del disperato sogno di una vita migliore, è indiscutibile. Nello stesso tempo, come in Neve rossa, la tendenza al pessimismo si unisce a un lirismo che sconfina nell'astrazione, e la descrizione della vita quotidiana nell'ambiente del rodeo si presta anche a contenere una meditazione su questioni morali e metafisiche. [...]
Probabilmente il più elegiaco tra i film di Ray, grazie anche alla fotografia scarna e monocroma di Lee Garmes, The Lusty Men anticipava con il suo tono da ballata gli intrecci più liberi e meno convenzionali di film pur diversi tra loro come Johnny Guitar, Gioventù bruciata, La vera storia di Jess il bandito, Il paradiso dei barbari e Ombre bianche. [...] Ray usò e sondò efficacemente l'aggressività di Susan Hayward e l'impertinenza di Arthur Kennedy e intravide una dolorosa vulnerabilità nel temperamento taciturno, malinconico e virile di Robert Mitchum: vigile, sensibile, tenace ma mai scontatamente macho, Jeff McCloud è forse il miglior ruolo di Mitchum, certamente il più toccante e nobile, anche grazie alla simpatia del regista per le figure di solitari. Ray e i suoi attori appaiono sempre consapevoli di ciò che stanno facendo (il che sorprende, date le circostanze della lavorazione del film): le immagini, il dialogo, le scenografie e la recitazione restituiscono una descrizione sempre assolutamente plausibile del mondo del rodeo, mentre i temi più profondi - l'amore, la perdita e la redenzione, la dignità e l'abnegazione - sono lasciati liberi di affiorare spontaneamente, quasi organicamente, da quello che è in buona parte un intreccio relativamente poco drammatico su uomini che vogliono scambiarsi le vite. La bellezza del film deriva proprio dal modo solo apparentemente semplice con cui Ray esamina, attraverso l'insolito e pittoresco mondo del rodeo, un tema universale: il bisogno d'amore, di rispetto e di una casa; il bisogno, in altre parole, di appartenenza.
Geoff Andrew, The Films of Nicholas Ray, BFI Publishing, London 2004
The Lusty Men is near-impossible to categorise into any single genre: as a rodeo movie, it is closely linked to the Western, but at the same time, the plot is at least partly a love story, while the semi-documentary style of most of its rodeo scenes lends it the feel of a non-fictional sociological study. Indeed, the shots beneath the opening credits of a typically American parade (featuring Indians as well as cowboys and drum majorettes) are a hint that, on one level at least, the film may be seen as being about America itself; this interpretation is justified by the account of independence, ambition, success and failure - in other words, of the American Dream - that is at the core of the narrative. Ray himself described the film as, in part, a response to the desire of many Americans during the postwar years to settle down with a family in a home of their own, and it certainly exudes a mood of authenticity in its unromantic portrait of poverty, rootlessness and people's desperate dreams of a better life. At the same time, as in On Dangerous Ground, this tendency towards downbeat realism is allied to a lyrical poeticism verging on the abstract, and the depiction of everyday life in the rodeo world is partly a framing device for a meditation on moral and metaphysical questions. [...]
Arguably the most elegiac of Ray's films - thanks partly to Lee Garmes's spare, sombre monochrome camerawork - The Lusty Men also pointed the way forward, with its ballad-like structure, to the loose, less conventional plots of films as diverse as Johnny Guitar, Rebel Without a Cause, The True Story of Jesse James, Wind Across the Everglades and The Savage Innocents. [...] Ray effectively used and probed Susan Hayward's aggression and Arthur Kennedy's cockiness, and found new dimensions in Robert Mitchum's moody, masculine taciturnity to uncover an aching vulnerability: watchful, sensitive, tough, but never once stereotypically macho, Jeff McCloud is perhaps Mitchum's finest role ever, certainly his most moving and dignified, thanks largely, one suspects, to the director's ability to empathise fully with loner figures. At every turn, Ray and his actors appear to understand exactly what they are doing (surprising, perhaps, given the circumstances of the film's making): as painted through images, dialogue, décor and performances, the portrait of rodeo life is never less than completely plausible, while the deeper themes - of love, loss and redemption, of self-respect and self-sacrifice - are allowed to emerge naturally, almost organically, from what is for the most part a relatively undramatic plot about men wanting to exchange their lives with one another. The film's beauty, in fact, derives from the deceptively simple way in which Ray examines, through the unusual, colourful context of the rodeo world, a universal predicament: the need for love, respect and a home; the need, in other words, to feel that one belongs. Geoff Andrew, The Films of Nicholas Ray,
BFI Publishing, London 2004
precede
Progetto Chaplin
THE PAWNSHOP (Charlot usuraio, USA/1916) R.: Charles Chaplin. D.: 25'
T. it.: Charlot usuraio. Scen .: Charles Chaplin . F .: Roland Totheroh . Int .: Charles Chaplin (commesso del banco dei pegni), Henry Bergman (usuraio), Edna Purviance (sua figlia), John Rand (l'altro commesso), Albert Austin (cliente con la sveglia), Wesley Ruggles (cliente con anello), Eric Campbell (scassinatore), James T . Kelley (vecchio barbone/signora col pesciolino rosso), Frank J. Coleman (poliziotto) . Prod .: Charles Chaplin per Lone Star Mutual . Pri . Pro .: 2 ottobre 1916
DCP. 2 bobine/ 2 reels. Didascalie inglesi con sottotitoli italiani / English intertitles with Italian subtitles. Da: Blackhawk Collection/Lobster Films.
Restaurato nel 2013 da Fondazione Cineteca di Bologna presso il laboratorio L'Immagine Ritrovata in collaborazione con Lobster Films e Film Preservation Associates / Restored in 2013 by Fondazione Cineteca di Bologna at L'Immagine Ritrovata laboratory, in collaboration with Lobster Films and Film Preservation Associates
Restauro sostenuto da / Restoration supported by
The Film Foundation, the George Lucas Family Foundation and the Material World Charitable Foundation
The Pawnshop è uno degli indiscussi capolavori di Chaplin alla Mutual. Forte di una squadra sempre più affiatata con i soliti Edna Purviance, Eric Campbell (nei panni di un memorabile truffatore), Albert Austin e la new entry Henry Bergman (che sarà con lui fino a Modern Times), The Pawnshop sembra disegnato, come One A.M., per esplorare e mettere in scena la destrezza fisica e la mimica di Chaplin, stavolta in uno spazio molto ridotto.
Ma trattandosi di un banco dei pegni è soprattutto un luogo pieno di oggetti inanimati che Chaplin trasforma a suo pia- cimento, ne traspone il significato, ne distorce la funzione, creando un universo metaforico e antropomorfizzato che prende forma attorno al suo personaggio (universo che conquistò dadaisti e surrealisti). Gli equilibrismi sulla scala, la ciambella fatta in casa che diventa prima un attrezzo per esercizi di sollevamento pesi, poi una ghirlanda hawaiana, il numero da funambolo con la corda sul pavimento, il furto finale a ritmo di un balletto e, infine la magistrale gag della sveglia 'malata' e visitata con uno stetoscopio (girata in due sequenze di parecchi metri ciascuna, divise da un breve primo piano del viso del cliente) rendono semplicemente impossibile staccare gli occhi dallo schermo per tutta la durata del film. "La perfezione, l'equilibrio e l'armonia delle sequenze - scrive Jean Mitry - il ritmo sostenuto mantenuto tale durante tutto il film e organizzato secondo le tre unità classiche, la padronanza dell'esecuzione, contribuiscono a fare di questo film un'opera assoluta".
The Pawnshop is one of the undisputed masterpieces Chaplin made for Mutual. Strengthened by a close knit team featur- ing Edna Purviance, Eric Campbell (in the role of a memorable conman), Albert Austin and the new entry Henry Bergman (who would stick with him until Modern Times), The Pawnshop seems designed, like One A.M., to explore and offer Chaplin's physical and mimetic agility, this time within a very limited space.
In the small pawnshop, packed with inanimate objects, Chaplin transforms them as he pleases, transposing their significance and their function, creating a meta- phorical and anthropomorphized universe that takes shape around his character (and which fascinated Dadaists and Surrealists) The balancing act on the stairs, a home-made donut that turns into an ex- ercise weight, then becomes a Hawaiian lei, a tightrope number on a rope on the floor, the theft staged to the rhythm of a ballet and the ultimate magnificent gag of the 'sick' alarm clock, examined with a stethoscope (shot in two long sequences, many meters of film each, divided by a brief close up of the client's face) make it impossible to tear one's eyes from the screen for the duration of the film. "Perfection, equilibrium and harmony between the scenes", writes Jean Mitry, "the masterful rhythm maintained throughout the entire film, structured classically in three sections and the mastery of execution all contribute to make this film an absolute work of art".
Tariffe:
Ingresso libero