Martedì 2 luglio 201316.45
Cinema Lumière - Sala Scorsese

LETTRE DE SIBÉRIE

(Francia/1958) R.: Chris Marker. D.: 58’

T. int .: Letter from Siberia Sog., Scen.: Chris Marker. F.: Sacha Vierny, Chris Marker. Mus.: Pierre Barbaud. Su.: Studios Marignan. Prod.: Anatole Dauman per Argos-Film, Procinex. Pri. pro.: 29 ottobre 1958. DCP. D.: 58'. Col. Versione francese / French version 
Da: Argos Films
Restaurato dal laboratorio Éclair a partire da un internegativo e da L.E. Diapason (per il suono) / Restored by Éclair laboratories from a internegative and L.E. Diapason (for the sound)

 

Vi scrivo da un paese lontano… Le parole che aprono il più famoso dei commenti cinematografici
sono come l’origine di una specie, il film-saggio, definito dalla molteplicità dei suoi materiali (fotografie, elementi antropologici, immagini di animali preistorici ma anche dei cani cosmonauti Laika e Mishka, incisioni, performance rituali, persino cinema d’animazione, il costante intreccio di serio e di giocoso, sempre riflettendo sull’incontro dell’antichissimo e del moderno); ugualmente rispettoso del reale e dell’immaginario (là dove la realtà meglio si rivela); con suono e immagine in costante dialogo, mentre il visivo e l’acustico si fondono dando luogo a un’arte dell’invisibile.
L’originalità di Lettre de Sibérie venne acutamente individuata da André Bazin in una recensione scritta pochi giorni prima della morte, nel 1958: “Lettre de Sibérie è un saggio in forma di reportage cinematografico sulla realtà siberiana passata e contemporanea. O ancora, adattando la formula usata da Vigo per À propos de Nice (‘un punto di vista documentato’), direi: è un saggio documentato attraverso il cinema. Dove la parola chiave è saggio, inteso nello stesso senso che ha in letteratura: un saggio storico e politico, ancorché scritto da un poeta”. O ancora: “L’elemento originario è la bellezza del sonoro, ed è da qui che la mente viene condotta verso l’immagine. Il montaggio procede dall’orecchio all’occhio”. Questa dovrebbe essere considerata come la definizione di una nuova dimensione di montaggio. Anche le dimensioni della città di Yakutsk sono sconcertanti: il fiume che la attraversa, la Lena, è cinque volte più largo e cinquanta volte più lungo della Senna. Come osserva il regista, l’Unione Sovietica è un paese di cui si parla solo in termini d’inferno o di paradiso. Un’osservazione che acquista evidenza nella celebre immagine ripetuta di uno stesso angolo di strada, interpretato da tre diverse ‘posizioni’: la posizione comunista (qui ci si fa gentilmente gioco dello “stile documentario del realismo socialista, dove la regola è che qualsiasi immagine deve essere, come la moglie di Stalin, al di sopra d’ogni sospetto. Tutto sempre e solo positivo, all’infinito: qualcosa che suona molto strano, provenendo dal paese della dialettica”), l’antitetica posizione capitalista e infine la posizione neutrale, ben presto a sua volta oggetto d’ironia…
Di nuovo, è Bazin che sintetizza al meglio: “La sola presentazione dell’antitesi costituirebbe già una trovata brillante e sufficiente a rinfrancare lo spirito, ma rimarrebbe appunto al livello della battuta di spirito: è a questo punto che l’autore ci propone il terzo commento, imparziale e minuzioso, che descrive oggettivamente lo sfortunato mongolo come uno yakuta afflitto da strabismo. Qui siamo ben al di là dell’astuzia e dell’ironia, perché ciò che Chris Marker ci sta implicitamente dimostrando è che l’obiettività è ancora più falsa dei due punti di vista partigiani; detto altrimenti che, almeno per quel che riguarda certe realtà, l’imparzialità è un’illusione. L’operazione alla quale abbiamo assistito è dunque precisamente dialettica; è consistita nel gettare sull’immagine tre diversi fasci di luce intellettuale, e di riceverne l’eco”.
Lettre de Sibérie è la versione nobile di un travelogue, considerato di solito la forma più modesta del documentario: le osservazioni su un luogo finora mai descritto diventano, poco alla volta e misteriosamente, la più simpatetica riflessione sull’umanità e sulle sue stanze mentali, al di là dell’ideologia. Ora che la vita creativa di Chris Marker si è chiusa per sempre, possiamo constatare che Lettre de Sibérie ha mantenuto la sua posizione speciale, resta il suo viaggio più famoso: un viaggio verso nessun posto, o più precisamente al centro del mondo. La sua stessa semplicità produce un film di strana bellezza e – bel paradosso, essendo il film su un paese dominato dal compromesso – uno degli sguardi cinematografici definitivi di una sinistra irriducibile al compromesso.

Peter von Bagh

 

I am writing to you from a faraway country... The most famous of commentaries begins what is perhaps the origin of the species – the modern essay film, defined essentially by the multiplicity of materials (photos, anthropological materials, images of ancient animals as well as Laika and Mishka, engravings, ritualistic performances, even animation, the constant mix of the serious and the joyous, always wondering about the encounter between the very ancient and the modern); respecting the concrete and the imaginary alike (where reality most beautifully reveals itself); with sound track and image in constant dialogue, the visual and the aural intermingling into an art of invisibility.
The originality of
Lettre de Sibérie was best characterized by André Bazin in a contemporary review (written only a few days before his death in 1958): “Lettre de Sibérie is an essay in the form of a cinematographic report about the reality of the Siberian past and present. Or again, adopting Vigo’s description of À propos de Nice (‘a documented point of view’), I would say: an essay documented by the film. The important word, essay, is understood in the same sense as in literature: an essay that is both historical and political, and written by a poet”. And: “The primordial element is the sonorous beauty and it is from there that the mind must leap to the image. The editing is done from ear to eye”. Which should be mentioned as one definition of a new dimension of montage.
The dimensions of Yakutsk are surely perplexing; its river, called Lena, is five times broader and 50 times longer than the Seine. As the director remarks, the Soviet Union is a country that is always spoken about only in the terms of hell or paradise. This is beautifully observed in the famous repeated image where the same shot of a street corner is interpreted from three angles: the communist (mocking gently “the documentary style of Soviet social realism in which the rule was that all images, like the wife of Stalin, had to be above suspicion. Positive – Positive – Positive until infinity – something which is very strange coming from the country of the dialectic”), its antithesis or capitalist, then the neutral one, or perhaps more accurately the mock-objective.
Again, Bazin sums it up best: “The single antithesis would already constitute a brilliant find, sufficient to delight the mind, but it would remain facile, like a joke: that’s when the author gives us the third commentary, impartial and meticulous, which objectively describes the unfortunate Mongol as a Yakout afflicted with a squint. And this time we are far beyond jokes and irony, because what Chris Marker just demonstrated implicitly is that objectivity is more false than the two partisa points of view, which is to say that, at least with respect to certain realities, impartiality is an illusion. The operation we have witnessed is therefore precisely dialectical, it consisted of sending three different intellectual beams to the same image and receiving their echo”.

Lettre de Sibérie is an ennobled version of a travelogue, known as the most pitiful variation of the documentary: facts about a place that at first is simply non-descript gradually and almost mysteriously become the kindest of reflections about the people and the private chambers of their minds, beyond ideology. As the creative life of Chris Marker has ended, we can see that this film has kept its special position as his most famous trip: a voyage to nowhere, or more accurately to the center of the world, the very ordinariness inspires a film of strange beauty and – paradoxically being about a country full of compromises – one of the defining moments of a cinematographic world view that is uncompromising Left.

Peter von Bagh

Lingua originale con sottotitoli Lingua originale con sottotitoli
Dettagli sul luogo:
Piazzetta Pier Paolo Pasolini (ingresso via Azzo Gardino 65)

Numero posti: 144
Aria condizionata
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