Le prime figure di disegnatori professionisti di cartellone cinematografico nascono negli Stati Uniti in seguito alla diffusione popolare del cinematografo. In Europa, inizialmente, si dedicheranno a questa attività firme importanti della grafica e dell’illustrazione e quindi personalità occupate contemporaneamente anche in altri settori. In pratica la generazione che si dedicherà alla sola pubblicità di cinema s’imporrà in Europa solo dopo la seconda guerra mondiale.
Anche in Italia i primi disegnatori non avevano una vera e propria formazione: alcuni potevano avere lavorato in stamperie e conoscere molto bene, quindi, il lavoro di disegnatore litografo, ma generalmente i pittori di cinema rimangono per molto tempo più vicini alla pratica artigianale. A ciò si aggiunge un ritardo, nel nostro paese, dell’organizzazione di strutture promozionali e studi di grafica cinematografica paragonabili a quelle di altri paesi e degli USA. La stessa famosa ditta BMC (la prima agenzia italiana - attiva fino agli anni ‘50 - formata dai tre disegnatori Ballester, Martinati e Capitani) non si trasformerà mai in una vera e propria scuola, dal momento che i tre artisti continuarono a lavorare senza assistenti di studio e senza preoccuparsi della trasmissione dell’esperienza in un settore nuovo come il cinema. Ciò nonostante, la qualità degli autori italiani è comunque indiscussa: anche negli anni precedenti la guerra avevano dimostrato caratteristiche formali e qualità espressive strettamente ispirate all’arte figurativa contemporanea, forse ancora di più che non nell’industria statunitense.
In Italia, dal secondo dopoguerra alla metà degli anni ‘70, con l’aumentare del consumo di cinema, si affinano anche le strategie pubblicitarie per lanciare sul mercato le sempre più numerose produzioni. La creazione dell’immagine trainante del film, quella destinata a colpire l’immaginario del pubblico e a orientarne le scelte, assume un ruolo centrale all’interno del meccanismo del lancio di un prodotto cinematografico. E’ in questi anni che fioriscono nuovi nomi di illustratori e intensificano la loro attività i disegnatori della prima generazione, anche per l’abitudine sempre più diffusa da parte degli Uffici Pubblicità delle case cinematografiche di ricorrere a diversi formati nei manifesti e di cambiare l’immagine a seconda delle tipologie di materiale pubblicitario utilizzato per uno stesso film. La grande richiesta di immagini in questo settore avrà, come contropartita, la configurazione di una tendenza all’appiattimento della ricerca, tendenza contrastata, però, dalla concorrenza fra le varie case cinematografiche che sempre di più sentiranno l’esigenza di caratterizzare stilisticamente i diversi prodotti. A ciò concorreranno le diverse e forti personalità dei disegnatori, di cui citiamo solo alcuni nomi:
Manfredo Acerbo, Tino Avelli, Anselmo Ballester, Ercole Brini, Silvano (Nano) Campeggi, Alfredo Capitani, Renato casaro, Angelo Cesselon, Averardo Ciriello, Enrico de Seta, Renato ferrini, Francesco Fiorenzi, Rodolfo Gasparri, Rinaldo Geleng, Piero Iaia, Mauro (Maro) Innocenti, Carlantonio Longi, Dante Manno, Luigi Martinati, Giuliano e Lorenzo Nistri, Umberto Onorato, Arnaldo Putzu, Sandro Symeoni, Ezio Tarantelli.
Un bravo cartellonista doveva essere un abile pittore-ritrattista, molto veloce nell’esecuzione dei lavori per stare al passo col ritmo delle richieste delle case di produzione cinematografiche. Per aggiudicarsi la commissione l’iter da seguire era questo: i capi ufficio stampa e pubblicità delle case di produzione avevano a quell’epoca contatti personali con i singoli disegnatori a cui chiedevano di elaborare più schizzi (tre, cinque o dieci) che una volta visionati passavano al direttore generale della casa cinematografica. Questi sceglieva il più idoneo per la realizzazione della tavola definitiva, chiamata bozzetto. Sempre più di frequente, le case cinematografiche presero l’abitudine di coinvolgere più disegnatori su un unico film per poi affidare il lavoro generalmente a un solo. Nella metà degli anni ‘50, per fronteggiare questa usanza da parte dei capi ufficio stampa, i pittori-cartellonisti italiani fondarono l’ANAPUC (Associazione Nazionale Artisti Pubblicitari Cinematografici) per ottenere riconoscimento e tutela della loro professione (aumento dei compensi, adeguamento degli stessi sull’utilizzo della tavola definitiva nel caso fosse usata per realizzare più affissi, pagamento degli schizzi anche se non utilizzati).
Sempre negli anni ‘50 diventa massiccio l’uso della fotografia per la realizzazione delle immagini, attraverso il ricorso a foto di scena da cui trarre spunto per la composizione generale del manifesto o della locandina e a foto di modelli e modelle da utilizzare per fissare le pose. Poteva accadere comunque che, in mancanza di materiale fotografico da parte della casa cinematografica, il pittore cartellonista dovesse visionare in una saletta il girato del film, il più delle volte non ancora montato per individuare le scene più rappresentative da utilizzare come immagini trainante del film. Accedeva spesso che i capi ufficio stampa ponessero condizioni stilistiche e di contenuto anche complesse, tipo quella di concentrare su una superficie piccola più immagini del film.
Dagli anni settanta si assiste al lento sparire della figura professionale del pittore di cinema. La maggior parte dei cartellonisti si riconverte ad altre forme di arte come la pittura o l’illustrazione per l’editoria. |
|