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“Caro De Sica, il tuo è il più bel film italiano che sia mai stato fatto”

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Il restauro di Ladri di biciclette – capolavoro di Vittorio De Sica, da un soggetto di Cesare Zavattini a partire dall’omonimo romanzo di Luigi Bartolini – quest’anno a Cannes Classics per i 70 anni dalla realizzazione del film.
Dal Fondo De Sica, patrimonio archivi cartacei della Cineteca di Bologna, il maestro del cinema italiano parla dell’idea e delle fasi iniziali del film; a seguire le lettere di congratulazioni a De Sica da parte di Luigi Comencini e Mario Soldati:


“Un giorno Zavattini mi dice: «È uscito un libro di Luigi Bertolini, leggilo, c’è da prendere il titolo e lo spunto». Era Ladri di biciclette. Bartolini ci cede il titolo e il diritto a trarre dal libro l’idea di un film, per un certo compenso. Più tardi, a film ultimato, protesterà violentemente.
Quel soggetto mi appassiona profondissimamente. Solo in altri due soggetti ho creduto con uguale fermezza Sciuscià e Umberto D.; su tutti gli altri ho nutrito, prima della realizzazione, dubbi. Mi metto a fare il giro dei produttori raccontando Ladri di biciclette. Faccio tutte le parti io: piango, rido, mi commuovo, mi sbraccio. Niente. Allora penso: in Francia hanno fatto soldi con Sciuscià, ora me ne daranno per fare questo. Ma a Parigi, abbastanza ragionevolmente, mi dicono: certo saremmo felici di acquistare il film, ma quando lei lo avrà fatto. Allora vado a Londra e vivo una strana avventura. L’unico che si interessa del soggetto è Gabriel Pascal (il produttore di Cesare e Cleopatra, morto recentemente). Una mattina viene a prendermi in automobile e mi porta in una villa di campagna distante una quarantina di chilometri da Londra. È una villa isolata, molto bella, ma vagamente sinistra. La moglie di Pascal, simpaticissima, mi riceve con grande gentilezza. Giochiamo a tennis e a golf. Tento di portare il discorso sul film, ma non ci riesco. Nel tardo pomeriggio Pascal mi dice che deve rientrare a Londra, mi prega di aspettarlo, e mi accompagna in una stanza del secondo piano. Rimasto solo mi accorgo che le porte sono chiuse a chiave. Penso sia stata una distrazione e aspetto. A tarda notte rientra Pascal, si scusa, io non penso più alla faccenda. L’indomani la scena si ripete: quando scende la sera mi ritrovo chiuso a chiave nella stanza. Intanto anche la moglie è sparita. Comincio a preoccuparmi e quando finalmente riesco ad affrontare Pascal, questi candidamente mi confessa che voleva impedirmi di comunicare col produttore Korda. Poi mi offre dieci milioni in tutto. Ne ho abbastanza e torno in Italia.
Gli uomini coraggiosi al punto di finanziare il film li trovai tra amici: Ercole Graziadei, Sergio Bernardi e il conte Cicogna di Milano. Furono tre soci straordinari. Mi lasciarono fare tutto ciò che volevo, mi dettero tutto il denaro che mi occorreva – pochissimo, per altro; i miei film costano tutti poco, tranne Miracolo a Milano, per gli ‘effetti speciali’ fatti da americani e costati il doppio del resto del film. Gli interpreti li trovammo in un modo avventuroso. Il grande problema fu il bambino. Me ne portarono a centinaia: o erano bellini, romantici, lisciati, o erano incapaci”.


Vittorio De Sica a proposito di Ladri di biciclette, tratto daGli Anni più belli della mia vita”, Tempo, 16 Dicembre, 1954 (Anno XVI - n. 50)


“Caro De Sica,
non avendo più, come ai tempi di Sciuscià, un giornale a disposizione per dire quello che penso, sento il bisogno di scriverti queste poche righe per riconfermarti la mia prima impressione di ieri, che a ventiquattro ore di distanza non ha fatto che consolidarsi: il tuo è il più bel film italiano che sia mai stato fatto e uno tra i tre o quattro più importanti film del mondo, da paragonarsi soltanto a opere come Giglio infranto di Griffith o Il monello di Charlot. Soprattutto provo il bisogno di ringraziarti di averci regalato quest'opera, dalla quale tutti dobbiamo imparare e che ci dà coraggio in un momento tanto difficile del nostro cinema. Mi auguro che il trionfo di ieri sia soltanto l'inizio di un lungo successo senza precedenti. Il tuo film è venuto come un miracolo a ridare credito e respiro al cinema italiano, e di questo dobbiamo esserti tutti grati.

Grazie caro De Sica, e affettuosi saluti dal tuo”


Luigi Comencini, 22 novembre 1948


"Carissimo,
mi parlarono, come capirai, in modo enorme del tuo film, Domenica. Non venni, perché avevo paura fosse troppo bello. Ebbi, Domenica, molte telefonate. Soffrivo d’invidia. Non volevo andarlo a vedere. Naturalmente, sono poi stato, alla prima, al Barberini, sperando che fosse un po’ meno bello di quello che mi avevano detto. Invece è più bello ma in altro modo. Ancora ti ripeti, sei come Verdi e Chaplin: non ragioni: senti.

Anni fa ti dissi che non capivi niente, e dissi che molte volte i geni non capiscono niente, perché sentono, perché vedono. Ora ti dirò una cosa sola. Tu ‘albeggi’. Noi (tutti noi registi italiani) ‘tramontiamo’. Un po’, come te, Einaudi ‘albeggia’. Ma meno di te. È ancora un po’ sentimentale. Tu no. Un popolo sorge. Il popolo dell’Italia Centro meridionale. E una borghesia tramonta: la borghesia dell’Italia settentrionale. Io, che a quella appartengo, capisco, ma soffro, e non ho la forza irriverente di guardare soltanto all’avvenire.

Telefonami. Soffro.

Ciao


Mario Soldati, 26 novembre 1948